Lascio questa giornata bella e piena per i miei bimbi con un sottile velo di malinconia. Come quando lasci qualcosa, che sai non sarà più così.
Temo che questo sarà l'ultimo Natale in cui il Piccolo Ing. - e, di conseguenza, Piccoletta e, di conseguenza, tutti noi - potrà godere dell'attesa per l'arrivo di Gesù Bambino, nella notte magica di Natale. Non so se mio figlio sa e non dice, o se sospetta qualcosa, o se invece è ancora davvero convinto. L'anno prossimo sarà in quarta elementare, e temo che non andremo più in là.
Ma non importa.
Natale è anche finzione sotto tanti altri punti di vista... Per ora con i bimbi ci godiamo il lato migliore della finzione e so già che, quando non ci sarà più, mi mancherà tantissimo. Ma ho imparato, quest'anno, ad apprezzare lo sforzo di responsabilità dei grandi di far sembrare ai piccoli che è tutto a posto e che è davvero festa. Non trovo che sia ipocrisia, trovo che sia un atto di responsabilità.
Temo che questo sarà anche l'ultimo Natale per una serie di "aggiustamenti" che sono giunti davvero al capolinea, ma quello lo lasceremo decidere all'anno che viene.
Ecco, il nostro Natale di passaggio è stato molto bello, e un po' dolceamaro come i bimbi che diventano grandi e questa vignetta di Altan
sabato 25 dicembre 2010
martedì 21 dicembre 2010
Educazione sentimentale per Piccoletta
Antefatto 1
Mia figlia è nella fase iper-romantica in cui sono immerse molte bambine, che credono che l'amore sia più o meno come ce lo racconta Rapunzel (fase benedetta, dalla quale nessuna bambina che è in noi vorrebbe mai uscire)
Antefatto 2
Crescere, in casa nostra, non è compito facile. Soprattutto quando hai un padre che, compiuti i cinque anni, decide che è ora di iniziare ad essere introdotti alla conoscenza approfondita della musica pop nella sua espressione più geniale, ossia i Beatles. E per fare questo, dotato di CD con i più grandi successi, ogni volta che siamo in macchina scatena una sorta di Sarabanda in cui i piccoli sono chiamati ad indovinare chi è il cantante di Yellow Submarine, piuttosto che di Eleanor Rigby o Hey Jude.
Domenica, in macchina.
Dopo l'immancabile Xmas (War is over), che scatena un pandemonio di "John/Ringo/Paul" sul sedile posteriore, passa in radio Born in the USA (fa Natale anche quello, si sa).
Mamma temeraria: "Tra un po' papà vi introdurrà anche all'arte di questo signore, quando sarete abbastanza grandi. Si chiama Bruce Springsteen, ed è americano. No, lui è vivo, papà lo ha anche conosciuto"
Papà soprapensiero: "Sì, avevo anche l'autografo. Ma l'ho regalato"
Mamma incosciente: "Ah sì?!? E a chi?"
Papà fa una faccia esplicativa
Mamma con chiari istinti suicidi: "Aaaaaah, ok, a una fidanzata"
Papà riparatore: "Era una fan sfegatata..."
Piccoletta con le antenne rizzate: "Ma non era mamma, la tua fidanzata?!?"
Mamma riparatrice: "Ma molto, mooooolto prima di conoscere la mamma"
Piccoletta: "E come si chiamava?"
Papà: "Boh! Non me lo ricordo"
Piccoletta: "...."
Mamma: "...."
Papà riparatore: "Beh, insomma, non era proprio una fidanzata..."
A quel punto abbiamo deciso che non era il caso di andare oltre.
Il seguito della spiegazione, tra una decina d'anni (almeno).
Mia figlia è nella fase iper-romantica in cui sono immerse molte bambine, che credono che l'amore sia più o meno come ce lo racconta Rapunzel (fase benedetta, dalla quale nessuna bambina che è in noi vorrebbe mai uscire)
Antefatto 2
Crescere, in casa nostra, non è compito facile. Soprattutto quando hai un padre che, compiuti i cinque anni, decide che è ora di iniziare ad essere introdotti alla conoscenza approfondita della musica pop nella sua espressione più geniale, ossia i Beatles. E per fare questo, dotato di CD con i più grandi successi, ogni volta che siamo in macchina scatena una sorta di Sarabanda in cui i piccoli sono chiamati ad indovinare chi è il cantante di Yellow Submarine, piuttosto che di Eleanor Rigby o Hey Jude.
Domenica, in macchina.
Dopo l'immancabile Xmas (War is over), che scatena un pandemonio di "John/Ringo/Paul" sul sedile posteriore, passa in radio Born in the USA (fa Natale anche quello, si sa).
Mamma temeraria: "Tra un po' papà vi introdurrà anche all'arte di questo signore, quando sarete abbastanza grandi. Si chiama Bruce Springsteen, ed è americano. No, lui è vivo, papà lo ha anche conosciuto"
Papà soprapensiero: "Sì, avevo anche l'autografo. Ma l'ho regalato"
Mamma incosciente: "Ah sì?!? E a chi?"
Papà fa una faccia esplicativa
Mamma con chiari istinti suicidi: "Aaaaaah, ok, a una fidanzata"
Papà riparatore: "Era una fan sfegatata..."
Piccoletta con le antenne rizzate: "Ma non era mamma, la tua fidanzata?!?"
Mamma riparatrice: "Ma molto, mooooolto prima di conoscere la mamma"
Piccoletta: "E come si chiamava?"
Papà: "Boh! Non me lo ricordo"
Piccoletta: "...."
Mamma: "...."
Papà riparatore: "Beh, insomma, non era proprio una fidanzata..."
A quel punto abbiamo deciso che non era il caso di andare oltre.
Il seguito della spiegazione, tra una decina d'anni (almeno).
venerdì 17 dicembre 2010
Cara Mattel, ti scrivo
Cara Mattel,
abbiamo già scritto la letterina a Gesù Bambino, anche con qualche post scriptum nel quale aggiungiamo man mano qualche gioco che improvvisamente ci appare irrinunciabile (vedremo, poi, cosa ci porterà Gesù Bambino, e se è il caso di rottamarlo con Babbo Natale, come hanno già fatto i nostri cugini e quasi tutti i nostri amici).
Comunque oggi ti scrivo una lettera da mamma.
E vorrei che questa lettera arrivasse, cara Mattel, direttamente nella casella del Responsabile Prodotto di quella meravigliosa tua creazione chiamata Barbie.
Ora, cara Mattel, sei fortunata. Non sono una di quelle mamme che pensano che Barbie sia un pessimo modello comportamentale per le proprie figlie, semmai pensano che gli adulti siano un pessimo modello comportamentale per le proprie figlie. Non sono una di quelle mamme che si angoscia perché Barbie è troppo magra, o troppo tettuta (adesso, poi, le avete messo pure le mutande, mica come quando eravamo piccole noi).
Quello su cui vorrei farvi riflettere, oltre a certe orrende creazioni assolutamente irrispettose del target di età delle bambine che utilizzano Barbie (temo che ormai non si vada oltre gli 8 anni, ma potrei sbagliarmi), e sto parlando della Barbie con macchina fotografica incorporata che M di Ms segnalò tempo fa, in una conversazione, è il modo in cui avete costruito il prodotto.
Barbie è un prodotto costruito esclusivamente sull'accumulo (fine a se stesso) di... Barbie. Mi spiego meglio. Ho due Barbie, e a questo punto non so che farci. Voglio il cavallo di Barbie? Devo comperare la terza Barbie. Voglio i cagnolini o i gattini? Ecco la quarta Barbie. Voglio il vestito dell'ultimo film? Quinta, sesta, settima Barbie.
Le collezioni dei vestiti di Barbie hanno meno capi, e sono più costose, di una collezione di Armani Privé (e poi ci lamentiamo della sleale concorrenza dei cinesi, anche nella produzione dei vestiti di Barbie). Per non parlare di quello che con un termine non tecnico potremmo chiamare la "costruzione del contesto": vi ricordate la casa di Barbie? Quella di cartone, con l'ascensore di plastica con il filo? Era una cosa semplice, pulita, molto giocabile. Ora costa (visto sul catalogo di un ipermercato) 200 €.
Ecco, la mia critica è proprio questa: Barbie è un gioco poco giocabile. Si è trasformato in uno status symbol (per cui le bambine fanno la conta di quante Barbie hai tu, e quante ne ho io), ma non è un gioco al quale è difficile affezionarsi.
Capisco perfettamente che a voi tutto questo ragionamento non cambi nulla: perché vendere tre gattini di plastica a 20 € quando con la Barbie veterinaria annessa possono essere venduti a 40€?
Ve lo dico io, perché: perché se produceste meno Barbie e più fantasia, più accessori, più giocabilità, vendereste lo stesso, e per più tempo, con una maggiore differenziazione del prodotto.
E' proprio questa mancanza di fantasia, cara Mattel, che mi fa molta tristezza, molto più dei fianchi stretti e delle poppe grandi, della "Magia della Moda", degli occhioni azzurri e verdi e dei completini un po' da zoccola (ma Barbie è sempre stata un po' zoccola, diciamocelo, e poche di noi ne hanno subito pesanti conseguenze nella vita, mi sembra).
Buon Natale, cara Mattel.
Lorenza
P.S. Cara Mattel, un'ultima preghiera. Ken non è mai stato un mostro di mascolinità, il confronto con Big Jim è sempre stato schiacciante, ma Big Jim era più basso di Barbie e questa elementare caratteristica l'ha squalificato per sempre. Ma i Ken in giro in questo momento sono veramente un inno alla singletudine, per la povera Barbie. Per favore, ridateci anche un Ken degno di risvegliare nelle nostre Barbie un qualche istinto primordiale. Grazie.
abbiamo già scritto la letterina a Gesù Bambino, anche con qualche post scriptum nel quale aggiungiamo man mano qualche gioco che improvvisamente ci appare irrinunciabile (vedremo, poi, cosa ci porterà Gesù Bambino, e se è il caso di rottamarlo con Babbo Natale, come hanno già fatto i nostri cugini e quasi tutti i nostri amici).
Comunque oggi ti scrivo una lettera da mamma.
E vorrei che questa lettera arrivasse, cara Mattel, direttamente nella casella del Responsabile Prodotto di quella meravigliosa tua creazione chiamata Barbie.
Ora, cara Mattel, sei fortunata. Non sono una di quelle mamme che pensano che Barbie sia un pessimo modello comportamentale per le proprie figlie, semmai pensano che gli adulti siano un pessimo modello comportamentale per le proprie figlie. Non sono una di quelle mamme che si angoscia perché Barbie è troppo magra, o troppo tettuta (adesso, poi, le avete messo pure le mutande, mica come quando eravamo piccole noi).
Quello su cui vorrei farvi riflettere, oltre a certe orrende creazioni assolutamente irrispettose del target di età delle bambine che utilizzano Barbie (temo che ormai non si vada oltre gli 8 anni, ma potrei sbagliarmi), e sto parlando della Barbie con macchina fotografica incorporata che M di Ms segnalò tempo fa, in una conversazione, è il modo in cui avete costruito il prodotto.
Barbie è un prodotto costruito esclusivamente sull'accumulo (fine a se stesso) di... Barbie. Mi spiego meglio. Ho due Barbie, e a questo punto non so che farci. Voglio il cavallo di Barbie? Devo comperare la terza Barbie. Voglio i cagnolini o i gattini? Ecco la quarta Barbie. Voglio il vestito dell'ultimo film? Quinta, sesta, settima Barbie.
Le collezioni dei vestiti di Barbie hanno meno capi, e sono più costose, di una collezione di Armani Privé (e poi ci lamentiamo della sleale concorrenza dei cinesi, anche nella produzione dei vestiti di Barbie). Per non parlare di quello che con un termine non tecnico potremmo chiamare la "costruzione del contesto": vi ricordate la casa di Barbie? Quella di cartone, con l'ascensore di plastica con il filo? Era una cosa semplice, pulita, molto giocabile. Ora costa (visto sul catalogo di un ipermercato) 200 €.
Ecco, la mia critica è proprio questa: Barbie è un gioco poco giocabile. Si è trasformato in uno status symbol (per cui le bambine fanno la conta di quante Barbie hai tu, e quante ne ho io), ma non è un gioco al quale è difficile affezionarsi.
Capisco perfettamente che a voi tutto questo ragionamento non cambi nulla: perché vendere tre gattini di plastica a 20 € quando con la Barbie veterinaria annessa possono essere venduti a 40€?
Ve lo dico io, perché: perché se produceste meno Barbie e più fantasia, più accessori, più giocabilità, vendereste lo stesso, e per più tempo, con una maggiore differenziazione del prodotto.
E' proprio questa mancanza di fantasia, cara Mattel, che mi fa molta tristezza, molto più dei fianchi stretti e delle poppe grandi, della "Magia della Moda", degli occhioni azzurri e verdi e dei completini un po' da zoccola (ma Barbie è sempre stata un po' zoccola, diciamocelo, e poche di noi ne hanno subito pesanti conseguenze nella vita, mi sembra).
Buon Natale, cara Mattel.
Lorenza
P.S. Cara Mattel, un'ultima preghiera. Ken non è mai stato un mostro di mascolinità, il confronto con Big Jim è sempre stato schiacciante, ma Big Jim era più basso di Barbie e questa elementare caratteristica l'ha squalificato per sempre. Ma i Ken in giro in questo momento sono veramente un inno alla singletudine, per la povera Barbie. Per favore, ridateci anche un Ken degno di risvegliare nelle nostre Barbie un qualche istinto primordiale. Grazie.
mercoledì 15 dicembre 2010
Il giorno sbagliato
Se c'era un giorno sbagliato per andare a Roma, era ieri. E ieri, infatti, la sottoscritta era a Roma.
Ho visto una mattina incredibilmente fredda e meravigliosamente limpida, una Piazza Venezia stranamente tranquilla. Ho visto Roma che è una pancia accogliente, una di quelle signore che tutto hanno visto, e che di nulla si stupiscono più, aspettano solo la prossima messa in scena. Ho visto una madre medusa, che divora e fagocita tutto, e rimane placida e serena e curiosa, cinica e un po' inquietante.
Ho sentito un ragazzetto con un ciuffo di capelli biondi chiedermi: "Scusi, do'ssta Piazza Argentina?" "Sta qui", gli rispondo io, pensando a quanto buffa è la vita, io che conosco tre vie e due piazze in tutta la città, e mi ci perdo sempre. "E do'ssta la manifestazione?" "Non so, non sarà ancora iniziata".
Ho sentito le sirene initerrottamente.
Ho visto la strada del centro sbarrata da due camionette dei Carabinieri, non poter passare, dover fare il giro più lungo. Ho visto l'arroganza del potere chiuso nei suoi palazzi, e quel senso di tristezza e di sopraffazione a cui non mi abituerò mai. Non ho visto camionette dei Carabinieri alla stazione Termini, a proteggere le persone che salivano e scendevano dai treni.
Ho visto camionette dei Carabinieri imbrattate, con le gomme bucate, i resti dell'assalto sparsi per terra, i ragazzi ancora dentro.
Ho visto autoambulanze che giravano indisturbate in un centro vuoto, bello e irreale.
E poi sono arrivata a Milano, alle dieci e venti di sera, e sono andata a chiedere al Bar Centrale una bottiglia di latte. Mi sono sentita rispondere che no, non me la potevano vendere, perché sono una società. E che comunque, considerato che con una bottiglia di latte riempiono 6 bicchieri che vendono a 1,50 € a bicchiere, avrebbe dovuto farmela pagare almeno 7 €. Secondo voi una che va in un bar a chiedere un litro di latte a quell'ora della sera è una tossica che si deve strafare di latte, o è una che il giorno dopo deve preparare una colazione per un bambino?
Ho visto la TV, e tanti che si affrettavano a dire che le violenze erano solo opera dei black bloc e che i manifestanti erano assolutamente pacifici, buoni e angelici. Ci credo, è vero, li ho visti: ho visto le faccie dei ricercatori precari che riempivano il treno la mattina, le facce dei ragazzini che manco sapevano dove andare, le facce degli aquilani senza casa e senza voce.
Ma non posso fare a meno di pensare che, in realtà, abbiamo un sacco di motivi per essere incazzati. Almeno, lasciateci un po' di rabbia.
Ho visto una mattina incredibilmente fredda e meravigliosamente limpida, una Piazza Venezia stranamente tranquilla. Ho visto Roma che è una pancia accogliente, una di quelle signore che tutto hanno visto, e che di nulla si stupiscono più, aspettano solo la prossima messa in scena. Ho visto una madre medusa, che divora e fagocita tutto, e rimane placida e serena e curiosa, cinica e un po' inquietante.
Ho sentito un ragazzetto con un ciuffo di capelli biondi chiedermi: "Scusi, do'ssta Piazza Argentina?" "Sta qui", gli rispondo io, pensando a quanto buffa è la vita, io che conosco tre vie e due piazze in tutta la città, e mi ci perdo sempre. "E do'ssta la manifestazione?" "Non so, non sarà ancora iniziata".
Ho sentito le sirene initerrottamente.
Ho visto la strada del centro sbarrata da due camionette dei Carabinieri, non poter passare, dover fare il giro più lungo. Ho visto l'arroganza del potere chiuso nei suoi palazzi, e quel senso di tristezza e di sopraffazione a cui non mi abituerò mai. Non ho visto camionette dei Carabinieri alla stazione Termini, a proteggere le persone che salivano e scendevano dai treni.
Ho visto camionette dei Carabinieri imbrattate, con le gomme bucate, i resti dell'assalto sparsi per terra, i ragazzi ancora dentro.
Ho visto autoambulanze che giravano indisturbate in un centro vuoto, bello e irreale.
E poi sono arrivata a Milano, alle dieci e venti di sera, e sono andata a chiedere al Bar Centrale una bottiglia di latte. Mi sono sentita rispondere che no, non me la potevano vendere, perché sono una società. E che comunque, considerato che con una bottiglia di latte riempiono 6 bicchieri che vendono a 1,50 € a bicchiere, avrebbe dovuto farmela pagare almeno 7 €. Secondo voi una che va in un bar a chiedere un litro di latte a quell'ora della sera è una tossica che si deve strafare di latte, o è una che il giorno dopo deve preparare una colazione per un bambino?
Ho visto la TV, e tanti che si affrettavano a dire che le violenze erano solo opera dei black bloc e che i manifestanti erano assolutamente pacifici, buoni e angelici. Ci credo, è vero, li ho visti: ho visto le faccie dei ricercatori precari che riempivano il treno la mattina, le facce dei ragazzini che manco sapevano dove andare, le facce degli aquilani senza casa e senza voce.
Ma non posso fare a meno di pensare che, in realtà, abbiamo un sacco di motivi per essere incazzati. Almeno, lasciateci un po' di rabbia.
domenica 12 dicembre 2010
Rapunzel batte Cenerentola 5-0
Rapunzel è l'ultimo film che ho visto al cinema, con i miei bimbi, in un cinema sconosciuto in un'altra città dove i film iniziano 20 minuti dopo l'orario indicato sul giornale. Cenerentola è forse il primo film che ho visto al cinema, accompagnata in un giorno feriale da mia madre (quando si è in 3 e tua madre ti porta da sola al cinema, in genere sono cose che si ricordano).
Alla fine, guardando Rapunzel ho anche capito alcune cose basilari (e molto diseducative) che la retorica della scarpetta ha prodotto nei suoi cinquant'anni di vita.
1. Rapunzel è una principessa. Cenerentola no.
Rapunzel è una principessa, non vuole diventare una principessa. Quindi, finalmente, forse, saremo in grado di rottamare la retorica insulsa del "come diventare principesse". Essere principesse è importante per ogni donna. Diventarlo è un'inutile ed estenuante battaglia contro se stesse.
2. Rapunzel ha uno scopo nella vita, e questo scopo esclude decisamente: trovare un fidanzato, trovare un principe azzurro, sposarsi, diventare ricca, diventare bella, diventare una regina.
Non è il sogno della vita (come quell'antipatica di Tiana che per un'ora e mezza ci ripete che vuole aprire il ristorante che suo padre desiderava tanto, una roba da psicoterapia da quattro soldi), è un sogno piccolo e preciso, che lei sa di poter realizzare. Rapunzel vince per pragmaticità, impegno e sensibilità. E ci ricorda che, una volta realizzato un sogno piccolo, ce ne possiamo sempre inventare un altro.
3. Rapunzel va in giro armata di una padella. Cenerentola ha bisogno di: Fata Madrina, topini, uccellini, cagnolini, zucche, bacchetta magica , vestito e non so cos'altro.
Questa è una delle cose di Cenerentola più diseducative in assoluto, che sta lì a frignare finché non arriva la Fata Madrina. E invece, vale nella vita per lo più la seguente massima: non aspettarti mai che qualcun altro faccia le cose per te, o al posto tuo. E poi è più chic.
4. Rapunzel sta con un ladro spiantato, bello e di belle speranze, che la fa ridere (e la porta in barca). Cenerentola con Principe-Azzurro-scopa-nel-culo.
Come se non bastasse, Flynn va a riprendersela in sella al cavallo bianco, il Principe manda il Granduca. Fate voi.
5. Rapunzel si innamora, Cenerentola si accasa.
Rapunzel è di un romanticismo pazzesco, che a pensarci bene Cenerentola fa la figura della stronza iper-arrivista che frega il Principe alle sorellastre (erano brutte, ma questa non è una scusante), per di più utilizzando questo mezzuccio della scarpetta di cristallo. Rapunzel va in giro a piedi nudi, che sa che tanto non ha bisogno di scarpette di cristallo (vedi al punto 1).
Insomma, Rapunzel mi è piaciuta non tanto per la storia in sé, ma per come è raccontata la sua storia. E' una vera favola, davvero fuori dal tempo e dallo spazio, e la sua eroina è pulita e fresca.
Ah, dimenitcavo: alla fine del film non è neanche più bionda!!
Alla fine, guardando Rapunzel ho anche capito alcune cose basilari (e molto diseducative) che la retorica della scarpetta ha prodotto nei suoi cinquant'anni di vita.
1. Rapunzel è una principessa. Cenerentola no.
Rapunzel è una principessa, non vuole diventare una principessa. Quindi, finalmente, forse, saremo in grado di rottamare la retorica insulsa del "come diventare principesse". Essere principesse è importante per ogni donna. Diventarlo è un'inutile ed estenuante battaglia contro se stesse.
2. Rapunzel ha uno scopo nella vita, e questo scopo esclude decisamente: trovare un fidanzato, trovare un principe azzurro, sposarsi, diventare ricca, diventare bella, diventare una regina.
Non è il sogno della vita (come quell'antipatica di Tiana che per un'ora e mezza ci ripete che vuole aprire il ristorante che suo padre desiderava tanto, una roba da psicoterapia da quattro soldi), è un sogno piccolo e preciso, che lei sa di poter realizzare. Rapunzel vince per pragmaticità, impegno e sensibilità. E ci ricorda che, una volta realizzato un sogno piccolo, ce ne possiamo sempre inventare un altro.
3. Rapunzel va in giro armata di una padella. Cenerentola ha bisogno di: Fata Madrina, topini, uccellini, cagnolini, zucche, bacchetta magica , vestito e non so cos'altro.
Questa è una delle cose di Cenerentola più diseducative in assoluto, che sta lì a frignare finché non arriva la Fata Madrina. E invece, vale nella vita per lo più la seguente massima: non aspettarti mai che qualcun altro faccia le cose per te, o al posto tuo. E poi è più chic.
4. Rapunzel sta con un ladro spiantato, bello e di belle speranze, che la fa ridere (e la porta in barca). Cenerentola con Principe-Azzurro-scopa-nel-culo.
Come se non bastasse, Flynn va a riprendersela in sella al cavallo bianco, il Principe manda il Granduca. Fate voi.
5. Rapunzel si innamora, Cenerentola si accasa.
Rapunzel è di un romanticismo pazzesco, che a pensarci bene Cenerentola fa la figura della stronza iper-arrivista che frega il Principe alle sorellastre (erano brutte, ma questa non è una scusante), per di più utilizzando questo mezzuccio della scarpetta di cristallo. Rapunzel va in giro a piedi nudi, che sa che tanto non ha bisogno di scarpette di cristallo (vedi al punto 1).
Insomma, Rapunzel mi è piaciuta non tanto per la storia in sé, ma per come è raccontata la sua storia. E' una vera favola, davvero fuori dal tempo e dallo spazio, e la sua eroina è pulita e fresca.
Ah, dimenitcavo: alla fine del film non è neanche più bionda!!
mercoledì 8 dicembre 2010
Obbligarsi a non far niente
"Ma se pioverà per tutto il ponte, cosa ci andate a fare sui bricchi dell'Ultima Spiaggia? Ma non potete stare a casa a riposarvi?!?" Così Grande Nonna, in mood funereo (evidentemente causato dalla puntata della sera precedente di Porta a Porta), accoglieva la notizia della decisione di andarcene via, per tutto il ponte molto milanese dell'Immacolata (che per i milanesi è il ponte di Sant'Ambrogio, ma si sa che i milanesi pensano che giri tutto intorno a loro), nonostante le infauste previsioni meteo, l'Ing. in trasferta non ambrosiana, le scadenze natalizie incombenti.
"Andiamo via, così siamo costretti a non far niente", mi sono sentita replicare.
A parte sabato, giornata meravigliosa (che la sottoscritta è riuscita a passare per una buona metà impegnata in un convegno a Genova), le funeste previsioni del meteo si sono rivelate incredibilmente esatte: pioggia domenica, lunedì e, guarda un po', anche martedì.
L'Ing. è dovuto rientrare in ufficio lunedì, lasciando la sottoscritta sui bricchi con i bimbi, a placare le ansie della Suocera e della Grande Nonna che hanno chiamato per assicurarsi che la sottoscritta potesse farcela, e che non fosse troppo in ansia.
E così, chiusi in casa con la stufa accesa in un paesaggio surreale in mezzo alle nuvole, mi sono ritrovata a stare completamente da sola con i miei bimbi per due giorni di fila.
E me la sono goduta da morire.
Mi sono goduta le loro liti, mi sono goduta ripetere a mio figlio di fare i compiti cento volte, dormire con loro nel lettone, sorbirmi le crisi isteriche di Piccoletta che non vuole nessuno in bagno perché deve farsi la coda da sola (e non ci riesce), andare a fare la spesa, sedermi ed aspettare finché il piccolo Ing. non si è allacciato le stringhe delle scarpe da solo, perché tanto non c'è fretta di uscire, gridare perché restino a tavola fino alla fine della cena, portarli al cinema a Genova sotto la pioggia (dandomi dell'incosciente, ad andare in giro con le creature in macchina su quella strada piena di pioggia, vento e tir, ma non diciamolo alla Grande Nonna né tanto meno alla Suocera), andare a prendere l'Ing. a Piazza Principe e sbagliare strada mentre i due se le suonano sul sedile posteriore, in piena enfasi celebrativa dopo la visione di Rapunzel (bellissimo).
Niente casa da sistemare, regali da fare, inviti per cena, pranzo e aperitivo, niente shopping natalizio, niente commissioni tintoria-cartoleria-spesa, niente lavoro in arretrato che, se ti guarda dal tavolo del soggiorno, come fai a non pensarci? Se fossimo rimasti a Milano a riposarci, sarebbe finita sicuramente così, in un vortice di "devo", "dovrei" e "sarebbe meglio se".
Perché qui bisogna fare così: bisogna obbligarsi a non far niente.
Sull'obbligarsi a non pensare a niente, sto ancora lavorando.
"Andiamo via, così siamo costretti a non far niente", mi sono sentita replicare.
A parte sabato, giornata meravigliosa (che la sottoscritta è riuscita a passare per una buona metà impegnata in un convegno a Genova), le funeste previsioni del meteo si sono rivelate incredibilmente esatte: pioggia domenica, lunedì e, guarda un po', anche martedì.
L'Ing. è dovuto rientrare in ufficio lunedì, lasciando la sottoscritta sui bricchi con i bimbi, a placare le ansie della Suocera e della Grande Nonna che hanno chiamato per assicurarsi che la sottoscritta potesse farcela, e che non fosse troppo in ansia.
E così, chiusi in casa con la stufa accesa in un paesaggio surreale in mezzo alle nuvole, mi sono ritrovata a stare completamente da sola con i miei bimbi per due giorni di fila.
E me la sono goduta da morire.
Mi sono goduta le loro liti, mi sono goduta ripetere a mio figlio di fare i compiti cento volte, dormire con loro nel lettone, sorbirmi le crisi isteriche di Piccoletta che non vuole nessuno in bagno perché deve farsi la coda da sola (e non ci riesce), andare a fare la spesa, sedermi ed aspettare finché il piccolo Ing. non si è allacciato le stringhe delle scarpe da solo, perché tanto non c'è fretta di uscire, gridare perché restino a tavola fino alla fine della cena, portarli al cinema a Genova sotto la pioggia (dandomi dell'incosciente, ad andare in giro con le creature in macchina su quella strada piena di pioggia, vento e tir, ma non diciamolo alla Grande Nonna né tanto meno alla Suocera), andare a prendere l'Ing. a Piazza Principe e sbagliare strada mentre i due se le suonano sul sedile posteriore, in piena enfasi celebrativa dopo la visione di Rapunzel (bellissimo).
Niente casa da sistemare, regali da fare, inviti per cena, pranzo e aperitivo, niente shopping natalizio, niente commissioni tintoria-cartoleria-spesa, niente lavoro in arretrato che, se ti guarda dal tavolo del soggiorno, come fai a non pensarci? Se fossimo rimasti a Milano a riposarci, sarebbe finita sicuramente così, in un vortice di "devo", "dovrei" e "sarebbe meglio se".
Perché qui bisogna fare così: bisogna obbligarsi a non far niente.
Sull'obbligarsi a non pensare a niente, sto ancora lavorando.
sabato 27 novembre 2010
Storia di mio figlio, che a 18 mesi non voleva più mangiare
Questo è un post che so di dover scrivere da qualche settimana, e forse da molto più. E' un post che nasce da un commento di MammaMoglieDonna, ed è a lei dedicato. E' un post che si è fatto attendere un po', perché non è proprio facile scriverlo - vuol dire per me mettere a nudo una parte di me che molti di coloro che leggeranno con occhio giudicante e senso di superiorità non capiranno. Ma so che molti, moltissimi altri, capiranno. E, soprattutto, spero possa servire a chi, come me, deve affrontare il problema di un bambino che non mangia.
E' settembre, ed è il 2004. Mio figlio ha 18 mesi e, di lui, ho un'immagine nitida, di una sera chiara di fine estate in cui si affaccia alla porta della cucina, mentre sto preparando la cena. Mi dice: "Mamma, io non voglio mangiare, voglio il latte con i biscotti".
E poi, una serie di flash.
La pediatra che dice: "Il bimbo non deve capire che il cibo è un ricatto, sennò è finita"
La maestra del nido che, a dicembre, ci dice: "E poi ho capito che, quando non mangia, non devo viverla come una sconfitta. Perché, se un bimbo non mangia, tu la vivi come una sconfitta", e così scopro che è da settembre che anche a pranzo fa storie.
La Grande Nonna che lo rincorre per casa con il piatto, o che lo fa mangiare davanti alla TV, imboccandolo.
Abbiamo deciso di non dare troppa importanza al cibo, ma ugualmente mio figlio ha capito ben presto che il cibo poteva diventare un potente ricatto.
Eravamo convinti (perché questo è il tipico errore che si fa con i figli primi, quantomeno) che "prima di tutto la disciplina", anche a tavola.
Mi dicevo che in fondo anche mio cugino, fino ai 20 anni, ha cenato a latte e biscotti. Perché mio figlio no?
Molto tempo dopo abbiamo inventato il gioco dell'"indovina gli ingredienti", funziona molto soprattutto con i risotti dell'Ing.
Molti biberon di latte e biscotti sono stati comunque la coccola serale, prima della nanna.
Insomma, siamo andati per tentativi e fallimenti, proprio come in un esperimento scientifico.
Tra alti e bassi, periodi di "buona" e periodi più difficili.
Intanto, sapendo che il cibo non è solo cibo, ho dovuto fare un lungo lavoro dentro di me.
Su quello che voleva dire mio figlio per me.
Su come avevo costruito il suo immaginario dentro di me.
E su come sapevo accogliere il bambino che lui è, e su come non avevo saputo accoglierlo.
Su quello che avevo passato, su quello che avevo sbagliato, su quello che non era proprio tutta colpa mia, ma stava lo stesso in carico a me, perché io avevo in carico lui.
E' stato un lavoro che ho fatto in solitaria, e in solitudine.
Che non è lo stesso, ma a volte anche sì.
E così è nata Piccoletta, abbiamo attraversato la scuola materna con molti pranzi buttati nel cestino, lo abbiamo visto acquisire via via sempre più sicurezza, abbiamo cercato di far capire ai nonni che se anche non mangiava quella sera, avrebbe mangiato un'altra volta (con il risultato che ora i nonni, quando mangia, si profondono in sonori "Braaaaaaaavoooooooo", provocando le ire dell'altra).
Ricordo che a settembre 2008, poco prima che iniziasse la scuola elementare, dopo un'estate difficile, al controllo annuale della pediatra me ne uscii con un: "Sono disposta ad andare dallo psicologo, ma risolviamo questa vicenda del cibo". La pediatra alzò il sopracciglio e mi rispose con una delle sue classiche frasi lapidarie: "L'anoressia fino ai 6 anni è normale" (che fa il paio con: "Ho un paio di ragazzine anoressiche, la colpa è sempre della mamma", detta in altra occasione ma della quale non ho potuto fare a meno di prendere nota)
Tecnicamente, dunque, ai 6 anni mancavano ancora quasi 4 mesi.
Rifeci la mia borsa e continuai.
Ho incontrato Aurora, che si è dimostrata prima una mamma, e poi un'amica, davvero preziosa e discreta.
In effetti non posso proprio dire, ora, che mio figlio non mangi.
Rimane il fatto che è stato messo al tavolo della maestra, sotto osservazione, e che in particolare una maestra lo incalza nella mezz'ora a disposizione che i bimbi hanno per pranzare.
E rimane il fatto che il momento della cena è il momento in cui fa i capricci, se è stanco, se c'è qualcosa che non gli quadra, se ha avuto una giornata difficile. O se è l'odiata baby sitter a preparargli il pranzo o la cena.
"Bimbi, questa sera faccio gli gnocchi"
"No mamma voglio la pasta!"
"No Topo, o la zuppa di zucca o gli gnocchi, non posso preparare per cena tre primi!"
E così, quando è ora di mettersi a tavola, scoppia il pandemonio.
Io mi arrabbio, lo faccio sede davanti al piatto con l'ormai classica: "Non mangiarli, ma stai lì seduto"
Lo vedo piangere silenziosamente.
Lo guardo, davanti al piatto pieno, e sento quell'angoscia e quel senso di impotenza che anche io, a volte, ho provato davanti ad un piatto pieno.
"Dai Topo, vieni in braccio alla mamma"
Lo prendo in braccio, avvicino il piatto.
Chiede il tris, ma di gnocchi non ce ne sono più.
E' successo due sere fa.
Perché i figli - certi figli - ti obbligano a fare i conti con te stessa, e non si accontentano di cibo di plastica, ma ti chiedono un po' di cuore in più. E forse questo pezzo in più bisogna andarselo a prendere da qualche parte, ogni tanto.
E così mi sono accorta or ora che questo post, in fondo, partecipa al blogstorming di questo mese.
E' settembre, ed è il 2004. Mio figlio ha 18 mesi e, di lui, ho un'immagine nitida, di una sera chiara di fine estate in cui si affaccia alla porta della cucina, mentre sto preparando la cena. Mi dice: "Mamma, io non voglio mangiare, voglio il latte con i biscotti".
E poi, una serie di flash.
La pediatra che dice: "Il bimbo non deve capire che il cibo è un ricatto, sennò è finita"
La maestra del nido che, a dicembre, ci dice: "E poi ho capito che, quando non mangia, non devo viverla come una sconfitta. Perché, se un bimbo non mangia, tu la vivi come una sconfitta", e così scopro che è da settembre che anche a pranzo fa storie.
La Grande Nonna che lo rincorre per casa con il piatto, o che lo fa mangiare davanti alla TV, imboccandolo.
Abbiamo deciso di non dare troppa importanza al cibo, ma ugualmente mio figlio ha capito ben presto che il cibo poteva diventare un potente ricatto.
Eravamo convinti (perché questo è il tipico errore che si fa con i figli primi, quantomeno) che "prima di tutto la disciplina", anche a tavola.
Mi dicevo che in fondo anche mio cugino, fino ai 20 anni, ha cenato a latte e biscotti. Perché mio figlio no?
Molto tempo dopo abbiamo inventato il gioco dell'"indovina gli ingredienti", funziona molto soprattutto con i risotti dell'Ing.
Molti biberon di latte e biscotti sono stati comunque la coccola serale, prima della nanna.
Insomma, siamo andati per tentativi e fallimenti, proprio come in un esperimento scientifico.
Tra alti e bassi, periodi di "buona" e periodi più difficili.
Intanto, sapendo che il cibo non è solo cibo, ho dovuto fare un lungo lavoro dentro di me.
Su quello che voleva dire mio figlio per me.
Su come avevo costruito il suo immaginario dentro di me.
E su come sapevo accogliere il bambino che lui è, e su come non avevo saputo accoglierlo.
Su quello che avevo passato, su quello che avevo sbagliato, su quello che non era proprio tutta colpa mia, ma stava lo stesso in carico a me, perché io avevo in carico lui.
E' stato un lavoro che ho fatto in solitaria, e in solitudine.
Che non è lo stesso, ma a volte anche sì.
E così è nata Piccoletta, abbiamo attraversato la scuola materna con molti pranzi buttati nel cestino, lo abbiamo visto acquisire via via sempre più sicurezza, abbiamo cercato di far capire ai nonni che se anche non mangiava quella sera, avrebbe mangiato un'altra volta (con il risultato che ora i nonni, quando mangia, si profondono in sonori "Braaaaaaaavoooooooo", provocando le ire dell'altra).
Ricordo che a settembre 2008, poco prima che iniziasse la scuola elementare, dopo un'estate difficile, al controllo annuale della pediatra me ne uscii con un: "Sono disposta ad andare dallo psicologo, ma risolviamo questa vicenda del cibo". La pediatra alzò il sopracciglio e mi rispose con una delle sue classiche frasi lapidarie: "L'anoressia fino ai 6 anni è normale" (che fa il paio con: "Ho un paio di ragazzine anoressiche, la colpa è sempre della mamma", detta in altra occasione ma della quale non ho potuto fare a meno di prendere nota)
Tecnicamente, dunque, ai 6 anni mancavano ancora quasi 4 mesi.
Rifeci la mia borsa e continuai.
Ho incontrato Aurora, che si è dimostrata prima una mamma, e poi un'amica, davvero preziosa e discreta.
In effetti non posso proprio dire, ora, che mio figlio non mangi.
Rimane il fatto che è stato messo al tavolo della maestra, sotto osservazione, e che in particolare una maestra lo incalza nella mezz'ora a disposizione che i bimbi hanno per pranzare.
E rimane il fatto che il momento della cena è il momento in cui fa i capricci, se è stanco, se c'è qualcosa che non gli quadra, se ha avuto una giornata difficile. O se è l'odiata baby sitter a preparargli il pranzo o la cena.
"Bimbi, questa sera faccio gli gnocchi"
"No mamma voglio la pasta!"
"No Topo, o la zuppa di zucca o gli gnocchi, non posso preparare per cena tre primi!"
E così, quando è ora di mettersi a tavola, scoppia il pandemonio.
Io mi arrabbio, lo faccio sede davanti al piatto con l'ormai classica: "Non mangiarli, ma stai lì seduto"
Lo vedo piangere silenziosamente.
Lo guardo, davanti al piatto pieno, e sento quell'angoscia e quel senso di impotenza che anche io, a volte, ho provato davanti ad un piatto pieno.
"Dai Topo, vieni in braccio alla mamma"
Lo prendo in braccio, avvicino il piatto.
Chiede il tris, ma di gnocchi non ce ne sono più.
E' successo due sere fa.
Perché i figli - certi figli - ti obbligano a fare i conti con te stessa, e non si accontentano di cibo di plastica, ma ti chiedono un po' di cuore in più. E forse questo pezzo in più bisogna andarselo a prendere da qualche parte, ogni tanto.
E così mi sono accorta or ora che questo post, in fondo, partecipa al blogstorming di questo mese.
mercoledì 24 novembre 2010
Foto di classe
Vi ricordate le nostre foto di Natale? Uno per uno, seduti su un banchetto con il nome della classe di fianco, una fotografia che veniva stampata con la scritta Buon Natale in rosso e delle faccine sorridenti, sdentate e abbagliate da flash troppo potenti. Il grembiulino bianco, quello bello per l'occasione.
Ecco, dimenticate tutto ciò.
Intanto, la foto di Natale è diventata foto di classe. E su questo, già, si potrebbe fare una serie di considerazioni sociologiche sull'educazione all'individualità, l'omologazione di gruppo, la prevalenza della massa sul singolo e cheneso.
Ma non è finita qui, perché la foto di classe diventa anche momento in cui scatenare le fantasie più perverse del fotografo sciur Brambilla. E quindi la foto di classe diventa a tema.
Anno 2009: gli Anni Trenta (meglio non chiedersi perché)
Anno 2010: cosa vuoi fare da grande?
I bimbi, quest'anno, devono presentarsi alla foto di classe vestendo i panni della professione che intendono svolgere nella loro vita adulta.
Interno sera, a cena.
"E quindi, Topo, cosa vuoi fare da grande?"
"Il politico!"
Sospensione del giudizio.
"Mmmhhhh... E come ti vesto, da politico?"
"Come Berlusconi"
Sconforto acuto, fitta al cuore e mancamento di forze.
Interviene Piccoletta: "Siiiii anch'io faccio il politico e mi vesto come Berlusconi"
Necessità assoluta di sali per rinvenire
"Ragazzi miei, se anche non diventate come Berlusconi la mamma è solo contenta", mentre già mi vedo già con l'aureola in testa, in perfetto stile iconografico-Mamma Rosa. Un'immagine raccapricciante che mi fa immediatamente tornare con i piedi per terra.
"E cosa faresti, se fossi un politico?"
"Beh, per prima cosa, tapperei tutti i buchi delle strade" (da queste parti sembra di essere in guerra, da un mese a questa parte abbiamo in giro ruspe, mezzi pesanti e cingolati che hanno rotto strade, chiuso incroci, traforato, martellato, scavato, transennato. Il teleriscaldamento che avanza)
Riprendo rapidamente le forze
A quel punto interviene l'Ing., inizia un pippone tra i due sulla politica come servizio o come esercizio del potere, e il risultato non si fa attendere.
"Va bene mamma, allora faccio lo scienziato".
Otto giorni dopo, interno sera, a cena.
"Senti mamma, allora facciamo così: io faccio lo scienziato, così faccio un sacco di soldi, e poi faccio il politico"
Non ho avuto cuore di dirgli che, a fare lo scienziato, sarà difficile diventare ricchi.
Intanto l'immaginetta di Mamma Rosa con l'aureola in testa mi perseguita.
Ecco, dimenticate tutto ciò.
Intanto, la foto di Natale è diventata foto di classe. E su questo, già, si potrebbe fare una serie di considerazioni sociologiche sull'educazione all'individualità, l'omologazione di gruppo, la prevalenza della massa sul singolo e cheneso.
Ma non è finita qui, perché la foto di classe diventa anche momento in cui scatenare le fantasie più perverse del fotografo sciur Brambilla. E quindi la foto di classe diventa a tema.
Anno 2009: gli Anni Trenta (meglio non chiedersi perché)
Anno 2010: cosa vuoi fare da grande?
I bimbi, quest'anno, devono presentarsi alla foto di classe vestendo i panni della professione che intendono svolgere nella loro vita adulta.
Interno sera, a cena.
"E quindi, Topo, cosa vuoi fare da grande?"
"Il politico!"
Sospensione del giudizio.
"Mmmhhhh... E come ti vesto, da politico?"
"Come Berlusconi"
Sconforto acuto, fitta al cuore e mancamento di forze.
Interviene Piccoletta: "Siiiii anch'io faccio il politico e mi vesto come Berlusconi"
Necessità assoluta di sali per rinvenire
"Ragazzi miei, se anche non diventate come Berlusconi la mamma è solo contenta", mentre già mi vedo già con l'aureola in testa, in perfetto stile iconografico-Mamma Rosa. Un'immagine raccapricciante che mi fa immediatamente tornare con i piedi per terra.
"E cosa faresti, se fossi un politico?"
"Beh, per prima cosa, tapperei tutti i buchi delle strade" (da queste parti sembra di essere in guerra, da un mese a questa parte abbiamo in giro ruspe, mezzi pesanti e cingolati che hanno rotto strade, chiuso incroci, traforato, martellato, scavato, transennato. Il teleriscaldamento che avanza)
Riprendo rapidamente le forze
A quel punto interviene l'Ing., inizia un pippone tra i due sulla politica come servizio o come esercizio del potere, e il risultato non si fa attendere.
"Va bene mamma, allora faccio lo scienziato".
Otto giorni dopo, interno sera, a cena.
"Senti mamma, allora facciamo così: io faccio lo scienziato, così faccio un sacco di soldi, e poi faccio il politico"
Non ho avuto cuore di dirgli che, a fare lo scienziato, sarà difficile diventare ricchi.
Intanto l'immaginetta di Mamma Rosa con l'aureola in testa mi perseguita.
mercoledì 17 novembre 2010
Fuga d'amore
Progetto una fuga d'amore.
Lascio i bimbi a dormire dalla Grande Nonna, un venerdì sera.
E poi scappo.
Non ho bisogno di andare lontano.
Basta un sabato mattina di silenzio, poltrire nel letto fino a mezzogiorno, uscire a pranzo alle due, andare al mercatino, gironzolare da soli nel caos della città.
Noi due, da soli.
"Possiamo anche andare a fare un brunch. Basta che non ci spennino".
L'Ing. sa sempre come venire incontro alle aspirazioni romantiche di una donna.
Lascio i bimbi a dormire dalla Grande Nonna, un venerdì sera.
E poi scappo.
Non ho bisogno di andare lontano.
Basta un sabato mattina di silenzio, poltrire nel letto fino a mezzogiorno, uscire a pranzo alle due, andare al mercatino, gironzolare da soli nel caos della città.
Noi due, da soli.
"Possiamo anche andare a fare un brunch. Basta che non ci spennino".
L'Ing. sa sempre come venire incontro alle aspirazioni romantiche di una donna.
sabato 13 novembre 2010
La paranza, è una danza, che si impara nella latitanza...
Dopo quindici giorni di latitanza (e non solo dal blog, ma anche da casa), il minimo che puoi promettere a tua figlia è: "Sì tesoro, ti prometto che venerdì esci all'una, e nel pomeriggio andiamo all'Ikea a prendere tutte le candele profumate che vuoi".
Nel frattempo ti sei completamente persa i passaggi attraverso i quali tua figlia cinquenne formula esplicita richiesta di andare all'Ikea a prendere le candele profumate, ma insomma, non è il caso di sottilizzare.
Giovedì mi chiama la persona con cui ho un impegno fissato per venerdì mattina.
"Scusa ma venerdì non riesco ad arrivare per la riunione alle 9:30. Possiamo fare nel pomeriggio?"
"Ehm... Veramente... Mi spiace, ma nel pomeriggio proprio non posso. Facciamo pranzo e riunione fino alle 3? Dopo, davvero, ho un impegno IMPROROGABILE"
"Va bene dai, per pranzo allora"
Giovedì compaio gloriosamente a prendere i miei figli, entrambi impegnati alla stessa ora in palestra fino alle 6 del pomeriggio (e non vi dico l'ansia di arrivare tardi!). Piccoletta mi vede, mi si getta al collo con un "Maaammmaaaaaaa" stile Anna dai Capelli Rossi e dopo pochi minuti, non so come, mentre aspettiamo che Piccolo Ing. finisca la lezione di scherma, scivoliamo di nuovo sul pericoloso discorso della gita all'Ikea a prendere le candele profumate.
"Allora, viene a prenderti la nonna all'una e poi la mamma arriva, accompagniamo Piccolo Ing. alla festa e noi andiamo a fare shopping"
"MAMMMMMAAAAAAAA MI AVEVI PROMESSO CHE VENIVI TU A PRENDERMI ALL'UNA!!!!!!!" e inizia un pianto dirotto, tipo Rémi posseduto.
Me la prendo in braccio e cerco di consolarla, con un interlocutorio "Vediamo, dai" che in genere con l'altro funziona ma che con lei non fa altro che peggiorare la situazione.
Piccoletta strilla come una iena, casomai qualcuno degli astanti non avesse inteso bene che: "MA TU MI AVEVI PROMESSO CHE VENIVI A PRENDERMI E ADESSO NON VIENI PIU'UUUUUUUUUUUUUUUUUUUU!! ME L'AVEVI PROMEEEEEEESSOOOOOOOOOOOO".
Cincischio in coccole, mentre penso che non è vero che le avevo promesso che sarei andata io: le avevo promesso che sarebbe uscita all'una, ma questa è evidentemente una sottigliezza che Piccoletta non può cogliere.
Ci provo, mi sforzo, ma non riesco davvero a sentirmi in colpa. Dovrei?
Sto solo cercando di tenere tutti insieme, e poi il mio mantra è: "Vedrai che l'anno prossimo non sarà più così, sarò disoccupata"
Anche, se lo ammetto, in quel momento avrei preferito essere sull'isola di Ponza.
Giovedì mi chiama la persona con cui ho un impegno fissato per venerdì mattina.
"Scusa ma venerdì non riesco ad arrivare per la riunione alle 9:30. Possiamo fare nel pomeriggio?"
"Ehm... Veramente... Mi spiace, ma nel pomeriggio proprio non posso. Facciamo pranzo e riunione fino alle 3? Dopo, davvero, ho un impegno IMPROROGABILE"
"Va bene dai, per pranzo allora"
Giovedì compaio gloriosamente a prendere i miei figli, entrambi impegnati alla stessa ora in palestra fino alle 6 del pomeriggio (e non vi dico l'ansia di arrivare tardi!). Piccoletta mi vede, mi si getta al collo con un "Maaammmaaaaaaa" stile Anna dai Capelli Rossi e dopo pochi minuti, non so come, mentre aspettiamo che Piccolo Ing. finisca la lezione di scherma, scivoliamo di nuovo sul pericoloso discorso della gita all'Ikea a prendere le candele profumate.
"Allora, viene a prenderti la nonna all'una e poi la mamma arriva, accompagniamo Piccolo Ing. alla festa e noi andiamo a fare shopping"
"MAMMMMMAAAAAAAA MI AVEVI PROMESSO CHE VENIVI TU A PRENDERMI ALL'UNA!!!!!!!" e inizia un pianto dirotto, tipo Rémi posseduto.
Me la prendo in braccio e cerco di consolarla, con un interlocutorio "Vediamo, dai" che in genere con l'altro funziona ma che con lei non fa altro che peggiorare la situazione.
Piccoletta strilla come una iena, casomai qualcuno degli astanti non avesse inteso bene che: "MA TU MI AVEVI PROMESSO CHE VENIVI A PRENDERMI E ADESSO NON VIENI PIU'UUUUUUUUUUUUUUUUUUUU!! ME L'AVEVI PROMEEEEEEESSOOOOOOOOOOOO".
Cincischio in coccole, mentre penso che non è vero che le avevo promesso che sarei andata io: le avevo promesso che sarebbe uscita all'una, ma questa è evidentemente una sottigliezza che Piccoletta non può cogliere.
Ci provo, mi sforzo, ma non riesco davvero a sentirmi in colpa. Dovrei?
Sto solo cercando di tenere tutti insieme, e poi il mio mantra è: "Vedrai che l'anno prossimo non sarà più così, sarò disoccupata"
Anche, se lo ammetto, in quel momento avrei preferito essere sull'isola di Ponza.
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domenica 31 ottobre 2010
Di punizioni e accerchiamenti
Non so più dove, lessi che mettere i propri figli in punizione è, dal punto di vista educativo, del tutto ininfluente, se non negativo.
I bimbi messi in punizione spesso non sanno neanche perché sono stati messi in punizione e faticano a collegare il gesto colpevole con la punizione che stanno subendo. Inoltre, la punizione (sempre se non ricordo male) diminuisce l'autostima dei bambini.
Personalmente, credo di aver inflitto cinque punizioni ai miei figli in tutta la mia vita.
Per lo più, passo il tempo a minacciare punizioni.
Le punizioni in casa nostra sono del tenore: Non ti faccio giocare con la Wii per tre giorni, ti ritiro il NintendoDS, ti porto via tutti i Lego Harry Potter, ti spengo la TV per una settimana.
Mercoledì è stata appunto giornata di super-punizione, avendo i due pargoli accumulato una serie di urlate sfociate con un sonoro "Siete in punizione, niente TV e Wii per una settimana" dopo che il piccolo aveva fatto lo sgambetto a Piccoletta, facendola ribaltare gambe all'aria contro l'armadio. Nel preciso istante in cui i due angioletti dovevano in teoria essere mitemente seduti a tavoli, mangiando la frutta che la madre stava amorevolmente sbucciando loro.
Le punizioni non sono mai date a caso. In quel caso, andavano a colpire la fonte delle mie più grandi incazzature: perché non c'è come arrivare a casa alle 7 e trovare un figlio davanti alla Tv che gioca alla Wii e che manco ti saluta, e che viene a tavola dopo che l'hai chiamato e minacciato per cinque volte.
Le punizioni sono un grande fallimento, per noi genitori. Io, almeno, lo vivo come tale. E mi chiedo come fare ad insegnare il rispetto delle regole, senza dover strillare per forza.
Peraltro, mi rendo conto dell'irrilevanza delle punizioni.
Mi spegni la TV? Mi guardo un'ora e mezza di cartoni in streaming sul Pc.
Mi togli la Wii? Ricomincio a giocare con il NintendoDS.
Mi togli il Lego? Sto davanti alla TV tutto il giorno.
Sì, decisamente le opzioni sono troppe, e la punizione del tutto irrilevante.
Rimane da capire come fare a farsi ascoltare, senza sgolarsi.
I bimbi messi in punizione spesso non sanno neanche perché sono stati messi in punizione e faticano a collegare il gesto colpevole con la punizione che stanno subendo. Inoltre, la punizione (sempre se non ricordo male) diminuisce l'autostima dei bambini.
Personalmente, credo di aver inflitto cinque punizioni ai miei figli in tutta la mia vita.
Per lo più, passo il tempo a minacciare punizioni.
Le punizioni in casa nostra sono del tenore: Non ti faccio giocare con la Wii per tre giorni, ti ritiro il NintendoDS, ti porto via tutti i Lego Harry Potter, ti spengo la TV per una settimana.
Mercoledì è stata appunto giornata di super-punizione, avendo i due pargoli accumulato una serie di urlate sfociate con un sonoro "Siete in punizione, niente TV e Wii per una settimana" dopo che il piccolo aveva fatto lo sgambetto a Piccoletta, facendola ribaltare gambe all'aria contro l'armadio. Nel preciso istante in cui i due angioletti dovevano in teoria essere mitemente seduti a tavoli, mangiando la frutta che la madre stava amorevolmente sbucciando loro.
Le punizioni non sono mai date a caso. In quel caso, andavano a colpire la fonte delle mie più grandi incazzature: perché non c'è come arrivare a casa alle 7 e trovare un figlio davanti alla Tv che gioca alla Wii e che manco ti saluta, e che viene a tavola dopo che l'hai chiamato e minacciato per cinque volte.
Le punizioni sono un grande fallimento, per noi genitori. Io, almeno, lo vivo come tale. E mi chiedo come fare ad insegnare il rispetto delle regole, senza dover strillare per forza.
Peraltro, mi rendo conto dell'irrilevanza delle punizioni.
Mi spegni la TV? Mi guardo un'ora e mezza di cartoni in streaming sul Pc.
Mi togli la Wii? Ricomincio a giocare con il NintendoDS.
Mi togli il Lego? Sto davanti alla TV tutto il giorno.
Sì, decisamente le opzioni sono troppe, e la punizione del tutto irrilevante.
Rimane da capire come fare a farsi ascoltare, senza sgolarsi.
sabato 23 ottobre 2010
Domande di bimbi, e domande di mamme
"Bimbi, domani la mamma è via tutto il giorno per lavoro, quindi..."
"Mamma!"
"Dimmi"
"Ma quand'è che la finisci con 'ste cose?"
Non lo so, amore. A volte non ne posso davvero più - di dover lottare contro il narcisismo, i ricatti, la precarietà, le cose che non condivido, la fatica di dire che non le condivido anche se so che vale zero, le maldicenze, le invidie, la cattiveria e lo schivar bordate, e di non sapere cosa succederà l'anno prossimo, che è anche quello che ti dico quando mi vedi andar via, vedrai che l'anno prossimo la mamma starà a casa molto di più. A volte sono contenta - di poter dire quello che voglio, di vedere progetti con le gambe, di conoscere persone nuove e spesso interessanti. A volte penso solo che devo, e non ci sono alternative. Quindi, tanto vale.
Quando sarai grande, capirai. O almeno spero.
Sul treno è tutto nero, e grigio, tantissimi notebook, pochi giornali, nessun libro. Pochi tacchi, donne o molto più giovani o molto più grandi di me.
Milano-Bologna
"Signore e signori, benvenuti sul Frecciarossa bzzzz bbbbbrrr bllaaaaaa.... Un'iniziativa dedicata a tutte le donne sul sito www.bzzzztzitalia.it"
Bologna-Firenze
"Per tutti i gentili signori in omaggio da parte di Borselli e Gioielli la nuova fragranza Man"
Una ragazzina bionda passa per il corridoio con una borsa di plastica azzurra ricolma di campioncini di profumo, li appoggia con cautela sui tavolini dei miei due vicini, mi guarda con esitazione mentre io continuo a fissare lo schermo del pc se ne va, camminando sulle punte come se non dovesse far rumore.
Ho ripensato alla domanda di mio figlio.
E a quante (poche) mamme lavorano. E se lavorano, quante (poche) mamme viaggiano per lavoro, con quello che tutto questo significa in termini di responsabilità e investimento sul loro percorso professionale. Che per le donne si promuovono iniziative sul Web e per gli uomini sul treno.
Ecco, sarò io che son fissata. Ma l'ho trovato un po' discriminante.
Ed ecco la mia domanda di mamma: era meglio che mi desse il campioncino di Man, o che infilassero nella borsa anche qualche fragranza di Woman, casomai ci fossero signore da omaggiare (evento chiaramente considerato talmente improbabile da non meritare neanche attenzione)? Delle due, ad ogni buon conto, almeno una.
E non venitemi a raccontare che è colpa della ragazza con i capelli biondi.
venerdì 15 ottobre 2010
Appunti sparsi, quasi un diario
Muoversi a Milano in macchina: c'è da diventare pazzi.
Ecco spiegato perché il mondo è pieno di pazzi.
Arriva il teleriscaldamento.
Peccato che ci siano già anche i lavori per il parcheggio sotterraneo, quelli per le strisce blu, per il trasloco del quarto piano.
Non ci facciamo mancare mai niente.
Camminando per strada, mi sono accorta di essere diventata il target di riferimento dei sessantenni.
Il che implica che l'Ing. va in giro a guardare le ventenni.
Per fortuna in questo periodo è con le stampelle, immobilizzato e a casa.
Ho capito cosa manca davvero alle donne per far carriera: il narcisismo.
Infatti Narciso era un uomo, se ci pensate bene.Arriva il teleriscaldamento.
Peccato che ci siano già anche i lavori per il parcheggio sotterraneo, quelli per le strisce blu, per il trasloco del quarto piano.
Non ci facciamo mancare mai niente.
Camminando per strada, mi sono accorta di essere diventata il target di riferimento dei sessantenni.
Il che implica che l'Ing. va in giro a guardare le ventenni.
Per fortuna in questo periodo è con le stampelle, immobilizzato e a casa.
Ho capito cosa manca davvero alle donne per far carriera: il narcisismo.
Ma su questa cosa sarà necessario tornare con calma.
Insomma, anche questa settimana non è passata invano.
martedì 12 ottobre 2010
Stop, Stay and Smile (le tre S di me stessa medesima, post fancazzista per ritrovare il sorriso)
Avrei potuto scrivere un post lugubre sulla reputazione dell'Italia all'estero (si sarebbe intitolato "L'ultima volta che sono stata fiera di essere italiana").
Avrei potuto scrivere un post molto più pensato sulla questione di genere, di cui Genitoricrescono si sta occupando in questo mese.
Avrei infine potuto sbrodolare lungamente su quanto è difficile essere donna a questo mondo, su quanto è difficile stare al mondo tout court, su quanto è difficile continuare ad essere civili con certi pediatri, su quanto è difficile vivere in una città in cui decidono che tre cantieri sotto casa, in fondo, non fanno la differenza per parcheggiare la macchina.
Invece, per fortuna vostra, mi è stato assegnato un HappyPremio da MammaMoglieDonna, che ringrazio DAVVERO TANTO :) per avermi costretto a guardare le cose da un'angolatura diversa. Dato che il periodo, come si può intuire, non è dei migliori, in questo premio tenterò di rispolvererare la mia migliore fancazzitudine, non aspettatevi niente di serio. Poi, un bel dì, scriverò un post serissimo sulla doppia personalità delle blogger.
Quindi, vi scriverò le 10 cose che, spremendo quel che rimane delle mie meningi, mi piacciono di più.
- Leggere un libro sotto il piumone mentre fuori piove
- Prendere il sole in faccia senza pensare alle rughe che avanzano
- Leggere un libro al Piccolo Ing. accoccolato con la testa sulla mia spalla
- Fare shopping con Piccoletta
- Fare un regalo piccolo, inaspettato e azzeccato
- Fare un regalo grande ad una persona a cui voglio bene
- Ridere con l'Ing.
- Appassionarmi ad un nuovo progetto
- Guardare e ascoltare i miei figli mentre giocano
- Guardare un film tutti insieme sul divano di casa
E rilancio il premio a:
- Lanterna di Lucciole e Lanterne
- M di Ms, ossia Managerdimestessa
- Vale, ossia Valewanda
- BStevens, anche Vita da Strega
- Monica, splendida Mi Mangio l'Allergia
- Mammanews
- Maq, Io Sono Leggendo
- Mamma in 3D
- Alessandra di Mammachecasino
- NonhoValentina
Tutte blogger che mi rendono molto Happy (insieme a molte altre, of course, alle quali il premio arriverà di certo molto presto!)
martedì 5 ottobre 2010
Un giorno. Noi che avevamo vent'anni negli Anni Novanta (Reloaded)
C'è un libro, che ho letto quest'estate (e sembra un secolo fa), del quale non riesco a scrivere, perché nessuna parola mi sembra appropriata.
Un commento molto figo potrebbe essere:
E' vero, Un giorno di David Nicholls è una bella storia d'amore. Ma i sentimenti e i pensieri che ho lasciato attaccati a quelle pagine non sono solo quelli di una storia d'amore, sono quelli di una generazione intera, la nostra.
Em e Dex si conoscono alla festa di laurea. E' un amore di un attimo, ma il libro dura vent'anni (e non vi posso raccontare come)
Lui le posò una mano leggera sulla nuca e nello stesso istante lei gli appoggiò una mano leggera sul fianco, e si baciarono lì per strada in mezzo alla gente che correva a casa nella luce estiva, il bacio più dolce che avrebbero mai provato nella loro vita. Ecco dove inizia tutto. Tutto parte da qui, oggi. E poi finì.
Cento anni fa (ma anche cinquanta) la storia sarebbe stata così: lui e lei si incontrano, si innamorano, ma lei deve sposare un altro/lui deve partire per la guerra. E quindi lei si oppone alle convenzioni/ma lui si ammala e muore, oppure lei si sposa/lui parte/lei rimane vedova/lui ritorna dalle Indie/lei e lui si sposano. Madame Bovary, per dire, non è mica stato un best-seller per niente.
E in fondo anche le nostre madri, e forse un po' noi, siamo cresciute a questa scuola di letteratura romantica. Invece qui no.
Ma il bello è che Em e Dex, i protagonisti del libro che a Milano sarebbero stati Lollo e Mati, anzi lollo e mati perché questi che avevano vent'anni negli anni novanta scrivono tutto minuscolo, siamo un po' tutti noi. Che oggi ci sbirciamo nello specchio e contiamo le rughe e, non importa se abbiamo alle spalle dieci fidanzati o tre figli, ma ci stupiamo, in fondo, di essere qui. Di come è andata, di come poteva andare, delle cose che non abbiamo mai iniziato e di quelle che abbiamo finito.
Ma, e non importa se abbiamo avuto cento fidanzati o cinque figli, se siamo scappati lontano oppure se la nostra vita appare solida e nitida, non rinunciamo alla possibilità di cambiare, e spesso non lo chiediamo neanche noi, di cambiare. E' che ci capita, e noi lo lasciamo capitare, e non è un fattuale, è un esistenziale. E' l'esistenziale del Carpe Diem (chi a 17 anni non si prese una cotta per Robert Sean Leonard ne L'attimo fuggente per poi ritrovarselo nel 2010 a fare da spalla a Dr. House?) e del Vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo: ma nessuno ci ha mai spiegato che non tutti gli attimi sono uguali, e così ogni tanto ci siamo incasinati, e ci incasiniamo ancora.
Siamo un po' quelli della generazione del Non è tempo per noi, e raramente canzone fu più azzeccata: eterni adolescenti? Mah, forse. Ma forse è solo un po' più sottile, la differenza.
Tempo fa lessi L'Italia non è un Paese per giovani, nel quale l'autore, Alessandro Rosina, lancia un'accusa molto pesante nei confronti dei trentenni/quarantenni di oggi, ritenendoli una "generazione persa", una generazione che in fondo non ha concluso nulla: non ha fatto rivoluzioni (ci credo, ci hanno rotto le palle con il Sessantotto da quando avevamo sei anni a quando ne abbiamo compiuti 35), non hanno saputo conquistarsi posizioni di prestigio o di potere (è vero, siam sempre qui ad aspettare che ci dicano: "Prego, avanti, tocca a lei") sono completamente assenti dalla politica (vedi sopra alla voce Sessantotto, temo).
Beh, non è piacevole sentirsi bollati come perdenti, anche se questa (forse) sarà una verità storica. Ma avere una laurea in filosofia medievale serve anche a questo: a relativizzare le definizioni storiche. Il Medioevo è stato bollato per secoli come epoca "oscura e tenebrosa", e invece è stata un'epoca ricca e feconda, dal punto di vista intellettuale e artistico. Basta guardare La Spada nella Roccia, per rendersene conto.
D'altronde, anche leggendo Un giorno, mi sono resa conto di come siamo una generazione che ha dovuto affrontare (con superficialità, con leggerezza, con un profondo disincanto ma anche con molta fatica) un nuovo modo (dentro e fuori) di stare al mondo (e, per favore, non veniteci a raccontare che "anche noi del Sessantotto...").
Ma noi potremmo definirici la generazione di mezzo. Quelli che vi hanno portato fin qui, signori.
La salvezza del mondo verrà (come sostiene Rosina e i demografi e sondaggisti Oltreoceano) dalla Millenium Generation, da quelli che hanno vent'anni nel 2010 e che hanno votato Obama? Non lo so.
Bisognerebbe chiederlo ai menestrelli di oggi, dato che quelli di vent'anni fa ci avevano azzeccato.
Per ora, i miei figli ascoltano solo Jovanotti, anche "Mamma, quel disco del Millenovecento..."
Un commento molto figo potrebbe essere:
Una storia d'amore scritta dal miglior allievo di Nick Hornby
E' vero, Un giorno di David Nicholls è una bella storia d'amore. Ma i sentimenti e i pensieri che ho lasciato attaccati a quelle pagine non sono solo quelli di una storia d'amore, sono quelli di una generazione intera, la nostra.
Em e Dex si conoscono alla festa di laurea. E' un amore di un attimo, ma il libro dura vent'anni (e non vi posso raccontare come)
Lui le posò una mano leggera sulla nuca e nello stesso istante lei gli appoggiò una mano leggera sul fianco, e si baciarono lì per strada in mezzo alla gente che correva a casa nella luce estiva, il bacio più dolce che avrebbero mai provato nella loro vita. Ecco dove inizia tutto. Tutto parte da qui, oggi. E poi finì.
E in fondo anche le nostre madri, e forse un po' noi, siamo cresciute a questa scuola di letteratura romantica. Invece qui no.
Ma il bello è che Em e Dex, i protagonisti del libro che a Milano sarebbero stati Lollo e Mati, anzi lollo e mati perché questi che avevano vent'anni negli anni novanta scrivono tutto minuscolo, siamo un po' tutti noi. Che oggi ci sbirciamo nello specchio e contiamo le rughe e, non importa se abbiamo alle spalle dieci fidanzati o tre figli, ma ci stupiamo, in fondo, di essere qui. Di come è andata, di come poteva andare, delle cose che non abbiamo mai iniziato e di quelle che abbiamo finito.
Ma, e non importa se abbiamo avuto cento fidanzati o cinque figli, se siamo scappati lontano oppure se la nostra vita appare solida e nitida, non rinunciamo alla possibilità di cambiare, e spesso non lo chiediamo neanche noi, di cambiare. E' che ci capita, e noi lo lasciamo capitare, e non è un fattuale, è un esistenziale. E' l'esistenziale del Carpe Diem (chi a 17 anni non si prese una cotta per Robert Sean Leonard ne L'attimo fuggente per poi ritrovarselo nel 2010 a fare da spalla a Dr. House?) e del Vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo: ma nessuno ci ha mai spiegato che non tutti gli attimi sono uguali, e così ogni tanto ci siamo incasinati, e ci incasiniamo ancora.
Siamo un po' quelli della generazione del Non è tempo per noi, e raramente canzone fu più azzeccata: eterni adolescenti? Mah, forse. Ma forse è solo un po' più sottile, la differenza.
Tempo fa lessi L'Italia non è un Paese per giovani, nel quale l'autore, Alessandro Rosina, lancia un'accusa molto pesante nei confronti dei trentenni/quarantenni di oggi, ritenendoli una "generazione persa", una generazione che in fondo non ha concluso nulla: non ha fatto rivoluzioni (ci credo, ci hanno rotto le palle con il Sessantotto da quando avevamo sei anni a quando ne abbiamo compiuti 35), non hanno saputo conquistarsi posizioni di prestigio o di potere (è vero, siam sempre qui ad aspettare che ci dicano: "Prego, avanti, tocca a lei") sono completamente assenti dalla politica (vedi sopra alla voce Sessantotto, temo).
Beh, non è piacevole sentirsi bollati come perdenti, anche se questa (forse) sarà una verità storica. Ma avere una laurea in filosofia medievale serve anche a questo: a relativizzare le definizioni storiche. Il Medioevo è stato bollato per secoli come epoca "oscura e tenebrosa", e invece è stata un'epoca ricca e feconda, dal punto di vista intellettuale e artistico. Basta guardare La Spada nella Roccia, per rendersene conto.
D'altronde, anche leggendo Un giorno, mi sono resa conto di come siamo una generazione che ha dovuto affrontare (con superficialità, con leggerezza, con un profondo disincanto ma anche con molta fatica) un nuovo modo (dentro e fuori) di stare al mondo (e, per favore, non veniteci a raccontare che "anche noi del Sessantotto...").
Ma noi potremmo definirici la generazione di mezzo. Quelli che vi hanno portato fin qui, signori.
La salvezza del mondo verrà (come sostiene Rosina e i demografi e sondaggisti Oltreoceano) dalla Millenium Generation, da quelli che hanno vent'anni nel 2010 e che hanno votato Obama? Non lo so.
Bisognerebbe chiederlo ai menestrelli di oggi, dato che quelli di vent'anni fa ci avevano azzeccato.
Per ora, i miei figli ascoltano solo Jovanotti, anche "Mamma, quel disco del Millenovecento..."
venerdì 24 settembre 2010
E' che nascono, così
L'antefatto è noto.
"Mamma, sai che Piacione dice le bugie?"
"Ah sì, e perché?"
"Perché ieri ha dato la mano a Carolina, ma Letizia voleva dargli la mano. Allora lui ha detto a Letizia che gli dava la mano domani. E invece l'ha data ancora a Carolina!"
"..."
"Ma lui dà la mano a Carolina perché quest'anno vuole sposare Carolina. L'anno scorso era piccola, ma adesso è cresciuta ed è diventata bella".
A Carolina i nostri migliori auguri.
E a Letizia tutta la nostra solidarietà femminile.
Per inciso, nel frattempo Piccoletta afferma spavalda la sua singletudine.
A cinque anni, in casa nostra, passa infine il concetto che "si decide da grandi, chi sposare".
"Mamma, sai che Piacione dice le bugie?"
"Ah sì, e perché?"
"Perché ieri ha dato la mano a Carolina, ma Letizia voleva dargli la mano. Allora lui ha detto a Letizia che gli dava la mano domani. E invece l'ha data ancora a Carolina!"
"..."
"Ma lui dà la mano a Carolina perché quest'anno vuole sposare Carolina. L'anno scorso era piccola, ma adesso è cresciuta ed è diventata bella".
A Carolina i nostri migliori auguri.
E a Letizia tutta la nostra solidarietà femminile.
Per inciso, nel frattempo Piccoletta afferma spavalda la sua singletudine.
A cinque anni, in casa nostra, passa infine il concetto che "si decide da grandi, chi sposare".
martedì 21 settembre 2010
Mamma, per fortuna che sono un maschio...
"Mamma, per fortuna che sono un maschio!"
"E perché?"
"Beh, intanto perché non dovrò fare cose dolorose tipo far nascere dei bambini..."
Ma come fa a sapere che far nascere i bambini è doloroso? Bah, non sviamo la conversazione.
"E poi?"
"E poi perché non dovrò fare cose schifose tipo pulire la cacca dal sedere dei miei figli"
Gli undici figli, per l'appunto.
"Ma scusa Topo, papà è un maschio però i pannolini ve li ha sempre cambiati e..."
"No mamma, perché io lavorerò talmente tanto, ma talmente tanto, che non ci sarò mai e quindi non dovrò pulire la cacca"
"Bisognerà vedere cosa dice tua moglie..."
E tuttavia, la vedo dura, per la prossima generazione di donne.
"E perché?"
"Beh, intanto perché non dovrò fare cose dolorose tipo far nascere dei bambini..."
Ma come fa a sapere che far nascere i bambini è doloroso? Bah, non sviamo la conversazione.
"E poi?"
"E poi perché non dovrò fare cose schifose tipo pulire la cacca dal sedere dei miei figli"
Gli undici figli, per l'appunto.
"Ma scusa Topo, papà è un maschio però i pannolini ve li ha sempre cambiati e..."
"No mamma, perché io lavorerò talmente tanto, ma talmente tanto, che non ci sarò mai e quindi non dovrò pulire la cacca"
"Bisognerà vedere cosa dice tua moglie..."
E tuttavia, la vedo dura, per la prossima generazione di donne.
giovedì 16 settembre 2010
I Have a Dream (Referendum Days a Milano)
Milano con 300 km di piste ciclabili (seee, già per l'Expo ne volevano fare 50, lastricate d'oro probabilmente, visti i costi preventivati, e non faranno manco quelle. Venite a vedere come sta messa la pista ciclabile sotto casa, un posteggio).
Destinare il 50% delle superfici da riqualificare al verde urbano (seee, già stanno a litigare su chi costruisce di più).
Riaprire i Navigli (seee, li abbiamo chiusi 60 anni fa, il Progresso che avanza, e voi volete riaprirli?)
Devo essere sincera: la prima volta che ho letto dei 5 quesiti referendari ho pensato che questi fossero pazzi.
Che a puntare così TANTO in alto, si rischia di essere velleitari.
Poi mi sono fermata.
E ho riflettuto.
Ho pensato che, per una volta tanto, cosa costa sognare?
Perché sognare ci sembra così difficile ed irrealistico?
Perché mai non sognare una città in cui ci si può muovere in bici (perché Milano è piccola), in cui le persone si riprendono i posti, i corsi d'acqua (e le zanzare e le pantegane, tanto quelle ci sono lo stesso) e un modo diverso di "starci dentro"?
E così, eccoci qui.
Venerdì 17, Sabato 18 e Domenica 19 Settembre si terrà la raccolta firme per promuovere CINQUE REFERENDUM per la qualità dell'ambiente, promosso da MilanoSìMuove. E' necessario raccogliere 15.000 firme entro il 6 Novembre.
Per leggere i quesiti referendari, andate qui.
E per sapere dove andare a firmare, leggete qui.
E poi, chiudiamo gli occhi, sogniamo, e andiamo a firmare.
Destinare il 50% delle superfici da riqualificare al verde urbano (seee, già stanno a litigare su chi costruisce di più).
Riaprire i Navigli (seee, li abbiamo chiusi 60 anni fa, il Progresso che avanza, e voi volete riaprirli?)
Devo essere sincera: la prima volta che ho letto dei 5 quesiti referendari ho pensato che questi fossero pazzi.
Che a puntare così TANTO in alto, si rischia di essere velleitari.
Poi mi sono fermata.
E ho riflettuto.
Ho pensato che, per una volta tanto, cosa costa sognare?
Perché sognare ci sembra così difficile ed irrealistico?
Perché mai non sognare una città in cui ci si può muovere in bici (perché Milano è piccola), in cui le persone si riprendono i posti, i corsi d'acqua (e le zanzare e le pantegane, tanto quelle ci sono lo stesso) e un modo diverso di "starci dentro"?
E così, eccoci qui.
Venerdì 17, Sabato 18 e Domenica 19 Settembre si terrà la raccolta firme per promuovere CINQUE REFERENDUM per la qualità dell'ambiente, promosso da MilanoSìMuove. E' necessario raccogliere 15.000 firme entro il 6 Novembre.
Per leggere i quesiti referendari, andate qui.
E per sapere dove andare a firmare, leggete qui.
E poi, chiudiamo gli occhi, sogniamo, e andiamo a firmare.
martedì 14 settembre 2010
Perché non sono una vera mamma milanese
14 Settembre 2009, Grande Piscina Milanese.
"Buongiorno, volevo iscrivere mio figlio al corso di nuoto"
"Che giorno? Quanti anni ha? Ha fatto già la preiscrizione, vero?"
"Veramente no"
La segretaria in polo azzurra alza gli occhi dal modulo e mi guarda con occhio indagatore, tra lo sdegno e lo stupore, due occhi che chiedono: Scusi, ma lei dove crede di essere?
"Signora, ma lei crede di trovare posto ADESSO?"
"Scusi, ma quando si fanno le iscrizioni al corso di nuoto?"
"A Maggio, Giugno... Ormai non c'è più posto"
"Neanche al sabato alle 7 di mattina? Neanche il mercoledì alle 23? Neanche...?"
"NO, niente"
"Ah, va bene, grazie, buongiorno"
" 'Giorno"
9 Settembre 2010, ore 9:30 verso Scuola.
"Devo andare a prenotare i libri per Beatrice"
"ARGHCAVOLOILIBRI!!! Vengo anch'io!"
Mamma G ed io arriviamo davanti alla saracinesca abbassata dell'Infame Cartoleria, la osservo con sguardo truce.
"Aprirà alle 10", sospiro.
"Allora vado a fare la spesa e poi torno"
"Io passo nel pomeriggio"
"Ciao Mamma G"
"Ciao, Lorenza"
Secondo voi, sono passata?
14 Settembre 2010, ore 9:15, verso Scuola
Pedalo speranzosa verso l'Infame Cartoleria con le cedole per i libri in borsa.
La fila di mamme abbronzate arriva fin sul marciapiede della via, il che non mi fa ben sperare. "Ehm, scusate, voi dovete prendere i libri, vero? Ecco, io li devo prenotare, posso passare? .... Grazie.... Grazie.... "
Mi faccio largo tra la folla silenziosa fin dentro il bugigattolo.
Osservo rapita una mamma che sta facendo la spesa per il figlio:
"Dunque questa cartelletta ha lo spessore di 1 cm e mezzo, però sì, questa effettivamente è più funzionale con gli elastici così, no mi dia questa... Aspetti che controllo di aver preso tutto..."
Ok, è il mio momento: "Scusi, mentre la signora controlla, volevo chiedere: Io devo prenotare i libri di testo"
L'ho detto.
Il proprietario della cartoleria mi guarda con quello sguardo che ormai conosco bene, quello del Scusi, ma lei dove crede di essere?
"Prenotare i libri... ADESSO? Ma signora mia, non arriveranno prima di settimana prossima!!" alzando gli occhi al cielo.
Sento su di me lo sguardo di disapprovazione dell'intero stuolo di madri veramente milanesi che il 10 giugno avevano già prenotato tutti i libri di testo, e che ora sono pazientemente in coda per il resto della mattina, per ritirarli. Il futuro scolastico di mio figlio minacciato da una madre inconsapevole ed inadempiente.
"Scusi, ma la scorsa settimana di mattina lei era chiuso fino alle 10, io devo andare in ufficio (funziona sempre coi milanesi, la mamma lavoratrice disorganizzata impietosisce più degli sgomberi rom. Le astanti iniziano a squadrarmi per verificare se il mio abbigliamento è consono a una che va in ufficio, e chiaramente non lo è)... E vabbe', mio figlio resterà senza libri fino a settimana prossima (mormorio di sottofondo), ma per prenotarli cosa devo fare, devo MANDARLE UN FAX?" (sorrisino dell'unico padre in coda).
Interviene la moglie, che sta contando dieci copertine di colori diversi e battendo lo scontrino: "Ma no, NON SI PREOCCUPI, vedrà che per giovedì o venerdì arrivano, dovrà aspettare un po' di più per quello di inglese".
Lascio nome e cognome del povero piccolo Ing. scritto con l'evidenziatore rosa su un post-it giallo, e saluto timidamente: "Va bene, allora ripasso venerdì. Grazie, buongiorno", mi dileguo attraversando a testa bassa la fila in attesa.
Due minuti che durano un'eternità, ed io ho capito perché non sono una vera mamma milanese. Persino Mamma C, da Roma, si complimenta con se stessa per essere diventata in soli 5 anni una vera mamma milanese che si ricorda di prenotare i libri ed il corso di nuoto a giugno. Chissà mai se anch'io, un giorno, potrò dire altrettanto di me stessa.
"Buongiorno, volevo iscrivere mio figlio al corso di nuoto"
"Che giorno? Quanti anni ha? Ha fatto già la preiscrizione, vero?"
"Veramente no"
La segretaria in polo azzurra alza gli occhi dal modulo e mi guarda con occhio indagatore, tra lo sdegno e lo stupore, due occhi che chiedono: Scusi, ma lei dove crede di essere?
"Signora, ma lei crede di trovare posto ADESSO?"
"Scusi, ma quando si fanno le iscrizioni al corso di nuoto?"
"A Maggio, Giugno... Ormai non c'è più posto"
"Neanche al sabato alle 7 di mattina? Neanche il mercoledì alle 23? Neanche...?"
"NO, niente"
"Ah, va bene, grazie, buongiorno"
" 'Giorno"
9 Settembre 2010, ore 9:30 verso Scuola.
"Devo andare a prenotare i libri per Beatrice"
"ARGHCAVOLOILIBRI!!! Vengo anch'io!"
Mamma G ed io arriviamo davanti alla saracinesca abbassata dell'Infame Cartoleria, la osservo con sguardo truce.
"Aprirà alle 10", sospiro.
"Allora vado a fare la spesa e poi torno"
"Io passo nel pomeriggio"
"Ciao Mamma G"
"Ciao, Lorenza"
Secondo voi, sono passata?
14 Settembre 2010, ore 9:15, verso Scuola
Pedalo speranzosa verso l'Infame Cartoleria con le cedole per i libri in borsa.
La fila di mamme abbronzate arriva fin sul marciapiede della via, il che non mi fa ben sperare. "Ehm, scusate, voi dovete prendere i libri, vero? Ecco, io li devo prenotare, posso passare? .... Grazie.... Grazie.... "
Mi faccio largo tra la folla silenziosa fin dentro il bugigattolo.
Osservo rapita una mamma che sta facendo la spesa per il figlio:
"Dunque questa cartelletta ha lo spessore di 1 cm e mezzo, però sì, questa effettivamente è più funzionale con gli elastici così, no mi dia questa... Aspetti che controllo di aver preso tutto..."
Ok, è il mio momento: "Scusi, mentre la signora controlla, volevo chiedere: Io devo prenotare i libri di testo"
L'ho detto.
Il proprietario della cartoleria mi guarda con quello sguardo che ormai conosco bene, quello del Scusi, ma lei dove crede di essere?
"Prenotare i libri... ADESSO? Ma signora mia, non arriveranno prima di settimana prossima!!" alzando gli occhi al cielo.
Sento su di me lo sguardo di disapprovazione dell'intero stuolo di madri veramente milanesi che il 10 giugno avevano già prenotato tutti i libri di testo, e che ora sono pazientemente in coda per il resto della mattina, per ritirarli. Il futuro scolastico di mio figlio minacciato da una madre inconsapevole ed inadempiente.
"Scusi, ma la scorsa settimana di mattina lei era chiuso fino alle 10, io devo andare in ufficio (funziona sempre coi milanesi, la mamma lavoratrice disorganizzata impietosisce più degli sgomberi rom. Le astanti iniziano a squadrarmi per verificare se il mio abbigliamento è consono a una che va in ufficio, e chiaramente non lo è)... E vabbe', mio figlio resterà senza libri fino a settimana prossima (mormorio di sottofondo), ma per prenotarli cosa devo fare, devo MANDARLE UN FAX?" (sorrisino dell'unico padre in coda).
Interviene la moglie, che sta contando dieci copertine di colori diversi e battendo lo scontrino: "Ma no, NON SI PREOCCUPI, vedrà che per giovedì o venerdì arrivano, dovrà aspettare un po' di più per quello di inglese".
Lascio nome e cognome del povero piccolo Ing. scritto con l'evidenziatore rosa su un post-it giallo, e saluto timidamente: "Va bene, allora ripasso venerdì. Grazie, buongiorno", mi dileguo attraversando a testa bassa la fila in attesa.
Due minuti che durano un'eternità, ed io ho capito perché non sono una vera mamma milanese. Persino Mamma C, da Roma, si complimenta con se stessa per essere diventata in soli 5 anni una vera mamma milanese che si ricorda di prenotare i libri ed il corso di nuoto a giugno. Chissà mai se anch'io, un giorno, potrò dire altrettanto di me stessa.
lunedì 6 settembre 2010
Andante, ma non troppo
La radiosveglia che suona alle 7, cinque minuti ancora ascoltando una vecchia canzone.
Il rumore dell'acqua che scorre e della lametta da barba contro il lavabo, sbirciare fuori dalla finestra e trovare il cielo grigio fosforescente, un cielo così diverso da quello di ieri, è solo una manciata di ore, eppure...
"Che palle quando piove le macchine del Car Sharing sono sempre tutte prenotate", vestirsi e allungare un caffé bevuto in piedi a tuo marito già pronto per uscire.
Piccoletta che appare sulla porta della cucina, con gli occhi ancora incollati di sonno, abbracciata al suo peluche.
I primi pianti e la solita angoscia: "Mamma, ma io non voglio mangiare quello che non mi piace".
Svegliare Piccolo Ing., che non ha ancora aperto gli occhi e biascica un "Non voglio andare a scuola", ricordargli che lo aspetta il Campus sportivo, niente scuola ancora.
Scegliere vestiti adatti alla pioggia che potrebbe arrivare, ma senza poter davvero rinunciare ad un'idea di estate.
"Topo, ti vanno ancora bene le scarpe da ginnastica?"
Preparare lo zainetto con la merenda, la borsa disegnata di fiori e sole con il cambio per la scuola.
"Piccoletta, usiamo le ciabattine della spiaggia per la scuola materna, ok?"
Il casco della bici, la felpa, il cellulare dov'è.
Rassicurare il Piccolo Ing. in questa palestra con le finestre grandi, piena di bimbi che non conosce, e la certezza che parte in volo.
Fare lo slalom tra le macchine, mentre ti accorgi che Piccoletta ha un nuovo peso specifico e si riaggiusta sul seggiolino.
Scegliere il nuovo armadietto con Piccoletta, un bacio e via.
Notare che la scuola materna ha un aspetto meno caotico.
C'è un modo di ricominciare sincopato, distonico, carico d'ansia.
E' stata la musica della scorsa settimana, a casa da sola.
E c'è un modo di ricominciare lasciando scorrere la musica, e vada come vada.
E' la musica composta dai miei figli.
Il rumore dell'acqua che scorre e della lametta da barba contro il lavabo, sbirciare fuori dalla finestra e trovare il cielo grigio fosforescente, un cielo così diverso da quello di ieri, è solo una manciata di ore, eppure...
"Che palle quando piove le macchine del Car Sharing sono sempre tutte prenotate", vestirsi e allungare un caffé bevuto in piedi a tuo marito già pronto per uscire.
Piccoletta che appare sulla porta della cucina, con gli occhi ancora incollati di sonno, abbracciata al suo peluche.
I primi pianti e la solita angoscia: "Mamma, ma io non voglio mangiare quello che non mi piace".
Svegliare Piccolo Ing., che non ha ancora aperto gli occhi e biascica un "Non voglio andare a scuola", ricordargli che lo aspetta il Campus sportivo, niente scuola ancora.
Scegliere vestiti adatti alla pioggia che potrebbe arrivare, ma senza poter davvero rinunciare ad un'idea di estate.
"Topo, ti vanno ancora bene le scarpe da ginnastica?"
Preparare lo zainetto con la merenda, la borsa disegnata di fiori e sole con il cambio per la scuola.
"Piccoletta, usiamo le ciabattine della spiaggia per la scuola materna, ok?"
Il casco della bici, la felpa, il cellulare dov'è.
Rassicurare il Piccolo Ing. in questa palestra con le finestre grandi, piena di bimbi che non conosce, e la certezza che parte in volo.
Fare lo slalom tra le macchine, mentre ti accorgi che Piccoletta ha un nuovo peso specifico e si riaggiusta sul seggiolino.
Scegliere il nuovo armadietto con Piccoletta, un bacio e via.
Notare che la scuola materna ha un aspetto meno caotico.
C'è un modo di ricominciare sincopato, distonico, carico d'ansia.
E' stata la musica della scorsa settimana, a casa da sola.
E c'è un modo di ricominciare lasciando scorrere la musica, e vada come vada.
E' la musica composta dai miei figli.
martedì 31 agosto 2010
Ma come fanno? Di figli, numeri, quello che avrebbe dovuto essere e quello che è
Inutile bluffare: per un simil-corso di formazione dovevo mettere mano al mio CV, ma non ce n'è. Quando metto mano al mio CV, mi viene la Depressione Cosmica. E non va bene, già subito al primo giorno rientrata dalle vacanze. Per di più, con il blog in stato catatonico (e lo sfondo ancora glicine!).
Inutile girarci intorno: questo post è un collage strampalato di sensazioni, pensieri, discorsi nonsense. Come al solito. E, come spesso accade, fulminata dal post di Mamma Cattiva. Inutile trovare un senso, prendetelo per quello che è.
Rimini, 1-2 Agosto 2010. Sono al convegno delle Famiglie Numerose, quelle che fanno tanti figli. Per essere una Famiglia Numerosa, tra sfornati da te ed adottati, devi gestirne almeno 4. In Spagna sono un po' più comprensivi, ne bastano 3 per entrare nel club. Chiacchiero con l'Ing. al telefono, e lui ad un certo punto mi chiede: "Ma questi, come fanno?". Già, come fanno. Gli sforno una serie di motivi pratici ed economici, ma mi rendo conto io stessa dell'inconsistenza della risposta. Mi rendo conto che la scelta sta un passo più in là: nella personalissima scelta, e nelle personali vicende di ciascuno, e di ciascuna coppia.
Per me non è stato semplice venire a patti tra l'ideale ed il reale, è un percorso che ancora, a volte, riaffiora. Ho sempre pensato di desiderare tre figli (nella mia meravigliosa e spensierata gioventù, anche quattro), ma dopo la nascita di Piccoletta mi sono accorta che non sapevo, e non potevo, andare più in là. Non sapevamo e non potevamo, e quindi discorso chiuso.
Ora guardo i miei figli e mi colpisce tantissimo la profonda alleanza che, in questi cinque anni, hanno costruito tra loro due (tra litigi, botte, scambio di virus di ogni tipo ed insulti del calibro di "Sei cicciona!" e "Sei un Drago dalle mutande rosa!"). Sono molto uniti ("Troppo", sentenzia la Grande Nonna, "è ora di dividerli, e lo dico per il loro bene!"), ma mi rendo conto che la convivenza a due è rischiosa perché il confronto tra loro due è sempre dietro l'angolo e le crisi di gelosia ad ogni piè sospinto.
Comunque. Tornata a casa, ho raccontato ai bimbi dove sono stata e la vicenda delle famiglie numerose ha molto colpito il piccolo Ing., tanto che.
Corsica, Agosto, di ritorno dalla spiaggia.
Piccolo Ing: "Io da grande avrò 11 figli!!!!!!"
Lorenza: "Ammazza Topo, cosa ci fai con 11 figli, una squadra di calcio?!?"
Piccolo Ing: "No, perché così Piccoletta avrà 11 nipoti, e dovrà spendere un sacco di soldi per fare i regali a tutti i suoi nipoti, e così rimarrà senza soldi!!!"
Seguono ghigno malefico del piccolo, sonore proteste di Piccoletta che se spende tutti i soldi per i nipoti non potrà comprarsi i vestiti, pugni, pianti, risate.
Dedicato alla mia amica R, che aspetta il suo secondo bambino. E che mi aspetta per l'aperitivo (arrivo, eh, sono solo un po' in ritardo).
Inutile girarci intorno: questo post è un collage strampalato di sensazioni, pensieri, discorsi nonsense. Come al solito. E, come spesso accade, fulminata dal post di Mamma Cattiva. Inutile trovare un senso, prendetelo per quello che è.
Rimini, 1-2 Agosto 2010. Sono al convegno delle Famiglie Numerose, quelle che fanno tanti figli. Per essere una Famiglia Numerosa, tra sfornati da te ed adottati, devi gestirne almeno 4. In Spagna sono un po' più comprensivi, ne bastano 3 per entrare nel club. Chiacchiero con l'Ing. al telefono, e lui ad un certo punto mi chiede: "Ma questi, come fanno?". Già, come fanno. Gli sforno una serie di motivi pratici ed economici, ma mi rendo conto io stessa dell'inconsistenza della risposta. Mi rendo conto che la scelta sta un passo più in là: nella personalissima scelta, e nelle personali vicende di ciascuno, e di ciascuna coppia.
Per me non è stato semplice venire a patti tra l'ideale ed il reale, è un percorso che ancora, a volte, riaffiora. Ho sempre pensato di desiderare tre figli (nella mia meravigliosa e spensierata gioventù, anche quattro), ma dopo la nascita di Piccoletta mi sono accorta che non sapevo, e non potevo, andare più in là. Non sapevamo e non potevamo, e quindi discorso chiuso.
Ora guardo i miei figli e mi colpisce tantissimo la profonda alleanza che, in questi cinque anni, hanno costruito tra loro due (tra litigi, botte, scambio di virus di ogni tipo ed insulti del calibro di "Sei cicciona!" e "Sei un Drago dalle mutande rosa!"). Sono molto uniti ("Troppo", sentenzia la Grande Nonna, "è ora di dividerli, e lo dico per il loro bene!"), ma mi rendo conto che la convivenza a due è rischiosa perché il confronto tra loro due è sempre dietro l'angolo e le crisi di gelosia ad ogni piè sospinto.
Comunque. Tornata a casa, ho raccontato ai bimbi dove sono stata e la vicenda delle famiglie numerose ha molto colpito il piccolo Ing., tanto che.
Corsica, Agosto, di ritorno dalla spiaggia.
Piccolo Ing: "Io da grande avrò 11 figli!!!!!!"
Lorenza: "Ammazza Topo, cosa ci fai con 11 figli, una squadra di calcio?!?"
Piccolo Ing: "No, perché così Piccoletta avrà 11 nipoti, e dovrà spendere un sacco di soldi per fare i regali a tutti i suoi nipoti, e così rimarrà senza soldi!!!"
Seguono ghigno malefico del piccolo, sonore proteste di Piccoletta che se spende tutti i soldi per i nipoti non potrà comprarsi i vestiti, pugni, pianti, risate.
Dedicato alla mia amica R, che aspetta il suo secondo bambino. E che mi aspetta per l'aperitivo (arrivo, eh, sono solo un po' in ritardo).
giovedì 29 luglio 2010
Una sera con il mio blog. E buone vacanze
Dicono le statistiche che un blog ha una vita media di 2 anni.
Dura mediamente meno di un matrimonio, ma più di una astensione facoltativa per maternità.
Dato che la mia missione di disorganica a vita è sfidare le statistiche, e che il Blog invecchia e supera il traguardo dei due anni, invece di chiuderlo ho rifatto il trucco. Che ne dite?
Rifaccio il trucco, ripenso i contenuti, e non solo quelli del Blog.
Ma siccome è sera d'estate e profumo di gelsomino, vale la pena solo godere del buio e delle stelle cadenti a San Lorenzo, che sono sempre una promessa di nuovi inizi.
Buone vacanze, a chi parte per partire e a chi parte per tornare.
Dato che la mia missione di disorganica a vita è sfidare le statistiche, e che il Blog invecchia e supera il traguardo dei due anni, invece di chiuderlo ho rifatto il trucco. Che ne dite?
Rifaccio il trucco, ripenso i contenuti, e non solo quelli del Blog.
Ma siccome è sera d'estate e profumo di gelsomino, vale la pena solo godere del buio e delle stelle cadenti a San Lorenzo, che sono sempre una promessa di nuovi inizi.
Buone vacanze, a chi parte per partire e a chi parte per tornare.
lunedì 26 luglio 2010
Customizzazioni
GuidaMi, la società ATM che gestisce il car-sharing milanese, ha optato per una virata d'immagine e di stile.
Puro understatement, come potete osservare, impatto di stile europeo in un pot-pourri di lingue con il quale si vuole lanciare un messaggio di speranza e rispetto per coloro che si immolano alla causa: "Tua, mia, nostra".
Chissà come mai tutti si giravano a guardarci, fermi in coda o ai semafori.
giovedì 15 luglio 2010
I'm Improving
Lorenza: "Ing., allora facciamo un'offerta per quel meraviglioso appartamento che mi piace così tanto e lo so che è la casa della mia vita e ha pure il terrazzo-per-i-tuoi-esperimenti-botanici, e che è ancora in vendita?"
Ing.:"Neanche per sogno"
Grande Nonna: "Per carità, vi dò io i soldi ma compratevi una casa decente e vendete quella bettola nella quale vivete come dei barboni"
Lorenza: "Piccoletta ed io vorremmo un cane, come regalo per i nostri compleanni"
Ing.:"Non se ne parla"
Grande Nonna: "Sei matta?!?! Ma sai quanto ti costa un cane?!?!"
Lorenza: "Vorrei andare a fare un viaggio"
Ing.: "Andiamo già al mare in Corsica due settimane, scordatelo. E poi io voglio andare all'Ultima Spiaggia"
Grande Nonna: "E quindi ad Agosto io cosa faccio?"
Lorenza: "Ing., c'è ancora quell'offerta della Ryanair per andare a Legoland"
Ing.: "Andiamo già in Corsica due settimane, scordatelo. E poi io voglio andare all'Ultima Spiaggia"
Lorenza: "Facciamo una settimana"
Ing.: "Facciamo quattro giorni"
Lorenza: "Ing., veramente ho già acquistato i biglietti, e ho noleggiato pure la macchina per una settimana"
Sebbene ora mi senta un po' in ansia e sostanzialmente sul lastrico, I'm improving, per dirla alla milanese.
Dedicato a Cocchina, che mi ha conferito Il premio Dardos, non so bene per quale merito: grazie anche a tutti i lettori, silenziosi e no, che hanno avuto la pazienza di arrivare fin qui. Il premio va ai primi 15 che lasceranno semplicemente un saluto o un commento, qui sotto, per evidenti meriti.
Ing.:"Neanche per sogno"
Grande Nonna: "Per carità, vi dò io i soldi ma compratevi una casa decente e vendete quella bettola nella quale vivete come dei barboni"
Lorenza: "Piccoletta ed io vorremmo un cane, come regalo per i nostri compleanni"
Ing.:"Non se ne parla"
Grande Nonna: "Sei matta?!?! Ma sai quanto ti costa un cane?!?!"
Lorenza: "Vorrei andare a fare un viaggio"
Ing.: "Andiamo già al mare in Corsica due settimane, scordatelo. E poi io voglio andare all'Ultima Spiaggia"
Grande Nonna: "E quindi ad Agosto io cosa faccio?"
Lorenza: "Ing., c'è ancora quell'offerta della Ryanair per andare a Legoland"
Ing.: "Andiamo già in Corsica due settimane, scordatelo. E poi io voglio andare all'Ultima Spiaggia"
Lorenza: "Facciamo una settimana"
Ing.: "Facciamo quattro giorni"
Lorenza: "Ing., veramente ho già acquistato i biglietti, e ho noleggiato pure la macchina per una settimana"
Sebbene ora mi senta un po' in ansia e sostanzialmente sul lastrico, I'm improving, per dirla alla milanese.
Dedicato a Cocchina, che mi ha conferito Il premio Dardos, non so bene per quale merito: grazie anche a tutti i lettori, silenziosi e no, che hanno avuto la pazienza di arrivare fin qui. Il premio va ai primi 15 che lasceranno semplicemente un saluto o un commento, qui sotto, per evidenti meriti.
lunedì 12 luglio 2010
Di figli e capacità manageriali
Non so se dipenda dal genere o dalla carta astrale, o forse semplicemente dalla mia pigrizia, ma per la negoziazione non ho mai nutrito alcun interesse.
Anzi, a dirla tutta, non mi ero mai posta neanche il problema di cosa significasse negoziare, finché:
Pomeriggio di domenica (le domeniche pomeriggio sono momenti difficili, eh?), in spiaggia con Cugino Grande. Ripercorrendo fedelmente le orme dei loro padri, dopo mezz'ora piccolo Ing. e Cugino Grande si stanno già menando. Piccolo Ing. ha torto (pare sia stato lui a iniziare a menare, perché preso in giro di fronte a tutti da Cugino Grande) ma ugualmente non vuole sentire ragioni. Dopo due ore di serrati ragionamenti, l'Ing. riesce a convincerlo a chiedere scusa. I due fanno la pace, più o meno, insomma.
Insomma, noi donne (pare) non siamo culturalmente attrezzate per la negoziazione, ma mi rendo conto che questa capacità è fondamentale, e va a braccetto con un'altro aspetto dello "stare al mondo" sulla cui importanza sto molto riflettendo, ultimamente, ossia l'avere una strategia.
Dato che non farò mai la manager, almeno per fare la mamma.
Urge trovare e/o inventare corso di negoziazione e pensiero strategico per madri (e donne, e manager, magari, anche).
- ho affrontato due maternità, e per altrettante volte ho dovuto reinventarmi un lavoro daccapo;
- ho letto in alcune ricerche (qui potete leggere l'ultima in ordine di tempo) che uno dei maggiori handicap, per quanto riguarda la possibilità delle donne di rimanere/crescere nelle aziende, è la capacità di negoziazione;
- ho visto all'opera l'Ing. con suo figlio.
Pomeriggio di domenica (le domeniche pomeriggio sono momenti difficili, eh?), in spiaggia con Cugino Grande. Ripercorrendo fedelmente le orme dei loro padri, dopo mezz'ora piccolo Ing. e Cugino Grande si stanno già menando. Piccolo Ing. ha torto (pare sia stato lui a iniziare a menare, perché preso in giro di fronte a tutti da Cugino Grande) ma ugualmente non vuole sentire ragioni. Dopo due ore di serrati ragionamenti, l'Ing. riesce a convincerlo a chiedere scusa. I due fanno la pace, più o meno, insomma.
Insomma, noi donne (pare) non siamo culturalmente attrezzate per la negoziazione, ma mi rendo conto che questa capacità è fondamentale, e va a braccetto con un'altro aspetto dello "stare al mondo" sulla cui importanza sto molto riflettendo, ultimamente, ossia l'avere una strategia.
Dato che non farò mai la manager, almeno per fare la mamma.
Urge trovare e/o inventare corso di negoziazione e pensiero strategico per madri (e donne, e manager, magari, anche).
giovedì 8 luglio 2010
Se lo ami, legalo
In questo correre distratto e un po' bislacco, in questa città che sta assumendo sempre più le sembianze della capitale della Lombardistan, una terra dove d'inverno fa -40°C e d'estate +50°C, dove il traffico ruggisce fino al 10 agosto, ed anzi a luglio impazzisce, perché si apre la stagione "sistemazione della viabilità", i bimbi imparano fin da subito che in macchina, all'occorrenza, trascorreranno un po' della loro vita.
Guidare nella jungla cittadina è pericoloso, e anche se rispetti il codice della strada, non è detto che tutti lo facciano.
Prendere la vita come viene non sempre è un bene: se prendere la vita come viene vuol dire anche "Non ti allaccio la cintura, tanto stiamo in macchina dieci minuti".
Dopo un incidente, dopo che ti sei ritrovata una macchina addosso che andava sulla corsia del tram, oltre all'abbonamento al car-sharing rimane la sensazione che potrebbe capitarti qualsiasi cosa, senza che tu neanche te ne accorga. Anche se sei in macchina per una brevissima commissione a due isolati da casa. Anche se è una piazza attraversata mille volte.
Per questo, se lo ami, legalo.
Guidare nella jungla cittadina è pericoloso, e anche se rispetti il codice della strada, non è detto che tutti lo facciano.
Prendere la vita come viene non sempre è un bene: se prendere la vita come viene vuol dire anche "Non ti allaccio la cintura, tanto stiamo in macchina dieci minuti".
Dopo un incidente, dopo che ti sei ritrovata una macchina addosso che andava sulla corsia del tram, oltre all'abbonamento al car-sharing rimane la sensazione che potrebbe capitarti qualsiasi cosa, senza che tu neanche te ne accorga. Anche se sei in macchina per una brevissima commissione a due isolati da casa. Anche se è una piazza attraversata mille volte.
Per questo, se lo ami, legalo.
lunedì 5 luglio 2010
Invecchiare (1) e (2)
Uno.
All'inizio della stagione, i saluti di rito all'ultima spiaggia: Ciao, come stai, come state, MA COME SONO CRESCIUTE QUESTE BIMBE!!!!
Che, quando ero piccola, se c'ero una cosa che odiavo era la vecchia carampana che mi tirava le guance e strillava ai quattro venti: "Ma quaaaaanto seeeei cresciuuuuutaaaaaa"
Incontro l'amico di famiglia dell'Ing.
"Ciao/come stai/come sta tua moglie/noi tutto bene/ma come è cresciuta questa bimba!"
"Sì, loro crescono, e noi invecchiamo!"
"Beh, sì... Ciao, eh"
Due.
Messaggio dalla signora dell'Associazione Aiuti Umanitari, che dovrei sentire per lavoro ma che è partita in vacanza con i nipoti (la Signora Aiuti Umanitari aiuta anche i figli, evidentemente, e non solo l'umanità): "Sentiamoci lunedì mattina, grazie, buongiorno".
Tempo un minuto, un altro messaggio sul cellulare: "Ciao Paolo, ti amo tanto".
La Signora Aiuti Umanitari ha sbagliato mittente (si spera fosse suo marito, ma se anche fosse l'amante, chissenefrega), e io vorrei invecchiare proprio così, mandando messaggi d'amore a mio marito (magari non all'amante, possibilmente).
All'inizio della stagione, i saluti di rito all'ultima spiaggia: Ciao, come stai, come state, MA COME SONO CRESCIUTE QUESTE BIMBE!!!!
Che, quando ero piccola, se c'ero una cosa che odiavo era la vecchia carampana che mi tirava le guance e strillava ai quattro venti: "Ma quaaaaanto seeeei cresciuuuuutaaaaaa"
Incontro l'amico di famiglia dell'Ing.
"Ciao/come stai/come sta tua moglie/noi tutto bene/ma come è cresciuta questa bimba!"
"Sì, loro crescono, e noi invecchiamo!"
"Beh, sì... Ciao, eh"
Due.
Messaggio dalla signora dell'Associazione Aiuti Umanitari, che dovrei sentire per lavoro ma che è partita in vacanza con i nipoti (la Signora Aiuti Umanitari aiuta anche i figli, evidentemente, e non solo l'umanità): "Sentiamoci lunedì mattina, grazie, buongiorno".
Tempo un minuto, un altro messaggio sul cellulare: "Ciao Paolo, ti amo tanto".
La Signora Aiuti Umanitari ha sbagliato mittente (si spera fosse suo marito, ma se anche fosse l'amante, chissenefrega), e io vorrei invecchiare proprio così, mandando messaggi d'amore a mio marito (magari non all'amante, possibilmente).
martedì 29 giugno 2010
Di libertà, e responsabilità
La prima a darmi la notizia, questa mattina di ritorno dal tour di accompagnamento figli, non poteva che essere laMarisa: "Ha sentito, signora...?"
Ho capito al volo.
Poi ho letto qua e là, soprattutto questo post di Blimunda.
La mia mente è andata ad una conversazione tra coppie di genitori di cinquenni, fatta proprio poco tempo fa, una sera a cena.
Lui ci racconta di quando si lanciava con il paracadute.
Dell'adrenalina, delle sensazioni, dell'abbassare sempre un po' il limite, dell'aprire il paracadute sempre un po' dopo.
Lei ci racconta che lo ha accompagnato un paio di volte.
Che ogni tanto arrivava, lontana, la notizia di qualcuno che era finito su un albero, un cancello, in un torrente.
Che dopo un po', lei gli ha detto: "O me, o il paracadute".
Lui ha scelto lei.
Ecco, non credo sia questione di moralismo.
Credo sia questione di libertà, e soprattutto di responsabilità.
Non ho una risposta, o una teoria, perché la nostra responsabilità ce la giochiamo ogni giorno, nello sguardo dei nostri figli.
Ho capito al volo.
Poi ho letto qua e là, soprattutto questo post di Blimunda.
La mia mente è andata ad una conversazione tra coppie di genitori di cinquenni, fatta proprio poco tempo fa, una sera a cena.
Lui ci racconta di quando si lanciava con il paracadute.
Dell'adrenalina, delle sensazioni, dell'abbassare sempre un po' il limite, dell'aprire il paracadute sempre un po' dopo.
Lei ci racconta che lo ha accompagnato un paio di volte.
Che ogni tanto arrivava, lontana, la notizia di qualcuno che era finito su un albero, un cancello, in un torrente.
Che dopo un po', lei gli ha detto: "O me, o il paracadute".
Lui ha scelto lei.
Ecco, non credo sia questione di moralismo.
Credo sia questione di libertà, e soprattutto di responsabilità.
Non ho una risposta, o una teoria, perché la nostra responsabilità ce la giochiamo ogni giorno, nello sguardo dei nostri figli.
Mio figlio mi insegna
Il piccolo Ing. è stato spedito, senza troppi complimenti, all'oratorio estivo: costi contenuti, solido modello educativo con adolescenti che fanno del volontariato, ritmi sfiancanti, canzoni, solida educazione intergenerazionale 6-13 anni.
Mamma ci è passata, per l'oratorio estivo che al paesello portava il fantasmagorico nome di Città dei Ragazzi, per cui anche piccolo Ing., che al mare con i nonni non ci vuole stare, si gode la canicola milanese insieme ad altri 100 e più marmocchi, insieme ad un suo compagno di classe e (udite, udite) per questa settimana anche insieme a compagna-occhi-di-cerbiatta, di cui piccolo Ing. è segretamente innamorato (senza, chiaramente, essere corrisposto giacché piccolo Ing. si guarda bene dal fare il cascamorto con occhi-di-cerbiatta, essendo un bimbo molto timido e sostanzialmente incapace, ma di questo ci preoccuperemo tra qualche anno).
Oggi sono andata a prenderlo e stavano ballando in cerchio, cantando una canzone tipo "Tacco, punta, tacco", gira, volta e hop! Sono rimasta molto stupita, perché vedere piccolo Ing. ballare è cosa quantomeno insolita.
"Topo, sei bravo a ballare, complimenti!"
"Sai come faccio, mamma? Guardo quelli bravi"
...
...
"Beh, è così che hanno imparato tutti quelli super bravi, sai? Hanno imparato dai più bravi, e poi li hanno superati in bravura. E' una gran cosa, imparare da quelli bravi".
Ammazza quante cose mi insegna, mio figlio.
Mamma ci è passata, per l'oratorio estivo che al paesello portava il fantasmagorico nome di Città dei Ragazzi, per cui anche piccolo Ing., che al mare con i nonni non ci vuole stare, si gode la canicola milanese insieme ad altri 100 e più marmocchi, insieme ad un suo compagno di classe e (udite, udite) per questa settimana anche insieme a compagna-occhi-di-cerbiatta, di cui piccolo Ing. è segretamente innamorato (senza, chiaramente, essere corrisposto giacché piccolo Ing. si guarda bene dal fare il cascamorto con occhi-di-cerbiatta, essendo un bimbo molto timido e sostanzialmente incapace, ma di questo ci preoccuperemo tra qualche anno).
Oggi sono andata a prenderlo e stavano ballando in cerchio, cantando una canzone tipo "Tacco, punta, tacco", gira, volta e hop! Sono rimasta molto stupita, perché vedere piccolo Ing. ballare è cosa quantomeno insolita.
"Topo, sei bravo a ballare, complimenti!"
"Sai come faccio, mamma? Guardo quelli bravi"
...
...
"Beh, è così che hanno imparato tutti quelli super bravi, sai? Hanno imparato dai più bravi, e poi li hanno superati in bravura. E' una gran cosa, imparare da quelli bravi".
Ammazza quante cose mi insegna, mio figlio.
venerdì 25 giugno 2010
Di Brain Drain e ipocrisia italica
Cavolo.
Mi ero ripromessa di non scriverlo.
A posteriori, soprattutto, quando milioni e milioni di italiani hanno ormai sparso fiumi di inchiostro telematico sull'argomento.
C'era una volta un allenatore.
Era un allenatore molto bravo, e anche piuttosto giovane.
Dopo aver vinto molto, con un club, gli fu proposto un posto in Nazionale.
Non nella sua Nazionale, perché lì non c'era posto: c'erano molti altri allenatori, più vecchi di lui, soprattutto c'era il Gran Decano degli Allenatori, per cui nisba.
L'allenatore, allora, fu chiamato ad allenare un'altra Nazionale, lassù a Nord: perché in Italia era considerato troppo giovane, ma all'estero no.
E quindi l'allenatore partì, e andò ad allenare una Nazionale un po' ammaccata. L'allenatore, come tutti gli italiani competenti all'estero ma non in Patria, si conquistò subito la stima di colleghi ed esperti del settore.
Ora la sua Nazionale è competente, quella italica pare di no, e i quotidiani italiani parlano di "tragedia nazionale".
Sostituite la parola allenatore a ricercatore, e vedete che il dicorso non fa una grinza.
Mi ero ripromessa di non scriverlo.
A posteriori, soprattutto, quando milioni e milioni di italiani hanno ormai sparso fiumi di inchiostro telematico sull'argomento.
C'era una volta un allenatore.
Era un allenatore molto bravo, e anche piuttosto giovane.
Dopo aver vinto molto, con un club, gli fu proposto un posto in Nazionale.
Non nella sua Nazionale, perché lì non c'era posto: c'erano molti altri allenatori, più vecchi di lui, soprattutto c'era il Gran Decano degli Allenatori, per cui nisba.
L'allenatore, allora, fu chiamato ad allenare un'altra Nazionale, lassù a Nord: perché in Italia era considerato troppo giovane, ma all'estero no.
E quindi l'allenatore partì, e andò ad allenare una Nazionale un po' ammaccata. L'allenatore, come tutti gli italiani competenti all'estero ma non in Patria, si conquistò subito la stima di colleghi ed esperti del settore.
Ora la sua Nazionale è competente, quella italica pare di no, e i quotidiani italiani parlano di "tragedia nazionale".
Sostituite la parola allenatore a ricercatore, e vedete che il dicorso non fa una grinza.
martedì 22 giugno 2010
Uomini e Donne (a 4 anni)
Piccoletta, in quest'ultimo periodo, ha la passione per le trecce: treccine, trecce, treccia alla francese.
Piccoletta, quest'anno, è succube del fascino del Piacione della classe: boccoli biondi, grandi occhioni castani, nasino a patata, chiede baci e bacini alle sue predilette (chiaramente, più d'una). Piccoletta e Amica si scannano per ottenere le grazie di Piacione: Amica fa sceneggiate e azioni di forza, Piccoletta lavora nel silenzio e dietro le quinte, favorita da oggettive congiunture astrali (Piacione ha due fratelli della stessa età del Piccolo Ing., dunque accade che Piccoletta e Piacione si ritrovino clandestinamente a qualche festa di bimbi più grandi).
Ieri mattina le ho fatto una piccola treccia su un lato, che lei ha portato orgogliosamente a scuola e ai giardini fino a sera.
A sera l'Ing., osservandola, le chiede:
"Ti hanno detto qualcosa per la treccia?"
"L'ho fatta vedere a Piacione", risponde lei, "Gli ho chiesto: 'Noti qualcosa di diverso?'"
"E lui cosa ti ha risposto?"
"Mi ha risposto: 'No! Cosa c'è di diverso?'"
Piccoletta, hai già capito come funziona.
Piccoletta, quest'anno, è succube del fascino del Piacione della classe: boccoli biondi, grandi occhioni castani, nasino a patata, chiede baci e bacini alle sue predilette (chiaramente, più d'una). Piccoletta e Amica si scannano per ottenere le grazie di Piacione: Amica fa sceneggiate e azioni di forza, Piccoletta lavora nel silenzio e dietro le quinte, favorita da oggettive congiunture astrali (Piacione ha due fratelli della stessa età del Piccolo Ing., dunque accade che Piccoletta e Piacione si ritrovino clandestinamente a qualche festa di bimbi più grandi).
Ieri mattina le ho fatto una piccola treccia su un lato, che lei ha portato orgogliosamente a scuola e ai giardini fino a sera.
A sera l'Ing., osservandola, le chiede:
"Ti hanno detto qualcosa per la treccia?"
"L'ho fatta vedere a Piacione", risponde lei, "Gli ho chiesto: 'Noti qualcosa di diverso?'"
"E lui cosa ti ha risposto?"
"Mi ha risposto: 'No! Cosa c'è di diverso?'"
Piccoletta, hai già capito come funziona.
sabato 19 giugno 2010
Com'è finita
E' finita che ho il gomito bendato, non rotto ma solo dolorante. L'ortopedico mi ha rifilato per 15 giorna una schiuma per capelli dal nome esotico, Artrosilene, da spalmare sul gomito. Le controindiaìcazioni dicono: non esporsi al sole per le seguenti tre settimane. Insomma, forse per il 20 Agosto potrei tentare di prendere un po' di sole.
In questa mia frequentazione intensiva della Grande Sanità Lombarda non ho potuto fare a meno di notare la quantità stupefacente di anziani che popola gli ospedali italiani.
Oggi ero ad un convegno in cui si diceva che nel nostro Paese il 61% della Spesa Sociale va in pensioni. E non hanno citato i costi della vecchiaia italica sulla sanità.
Chiudo gli occhi, e provo ad immaginare: se tutti questi anziani si trasformassero in bambini...
In questa mia frequentazione intensiva della Grande Sanità Lombarda non ho potuto fare a meno di notare la quantità stupefacente di anziani che popola gli ospedali italiani.
Oggi ero ad un convegno in cui si diceva che nel nostro Paese il 61% della Spesa Sociale va in pensioni. E non hanno citato i costi della vecchiaia italica sulla sanità.
Chiudo gli occhi, e provo ad immaginare: se tutti questi anziani si trasformassero in bambini...
lunedì 14 giugno 2010
Non entrate in quel Pronto Soccorso
Ho capito perché le mamme non si mettono mai i tacchi: perché se ti piomba addosso improvvisamente una quattrenne che decide di lanciarsi dal muretto su di te, in un impeto di amore filiale, e tu indossi un paio di scarpe platform e tacco 10, non hai speranze.
E dato che l'istinto materno resiste pervicacemente anche su platform e tacco 10, nei due secondi di caduta pensi solo a proteggere l'infausta pargola dal pericolo, e quindi tenti un avvitamento carpiato, atterrando sul gomito e sul ginocchio. Ringrazi il cielo di non esserti rotta una caviglia, è vero. Ma ti ritrovi con un gomito dolorante. Per non parlare del fatto che vai in bagno a ripulirti e svieni come una pera cotta.
Gomito rotto? Mah, non sembra.
Il giorno seguente decidi dunque d'andare dalla Grande Ignava, la medica condotta. Tu NON vuoi andare al Pronto Soccorso. Ma con l'Ignava non c'è scampo: "Vada al Pronto Soccorso, così sistema tutto in una volta sola".
E quindi, vai al Pronto Soccorso del Grande Ospedale delle Ossa Rotte, che quello vicino a casa assiste unicamente infanti e puerpere, e di un gomito forse-rotto non se ne fanno proprio un bel niente.
All'orrendo Pronto Soccorso delle Ossa Rotte non si capisce neanche quale sia l'ingresso (forse perché davanti all'ingresso sono piazzati due cartelli luminosi di divieto d'accesso?): tutto ciò non è molto accogliente, né tanto meno bene augurante.
C'è un tendone rosso che non è un chiringuito, ma il luogo dove possono sostare le autoambulanze. C'è un ingressino minuscolo, una minuscola sala d'aspetto, una minuscola accettazione: avendolo appena risistemato, hanno chiaramente optato per una scelta minimal. Logico, no, per essere l'Ospedale delle Ossa Rotte più facilmente raggiungibile in città?
Dopo più di mezz'ora passo all'accettazione.
Dopo tre ore dall'accettazione sono ancora accasciata sulla sedia, senza che nessuno si sia degnato di dirmi nulla. Il mio gomito non è stato decretato urgente, quindi davanti a me passano stuoli di zoppi, padri di famiglia con l'anulare insaccato che non vogliono togliersi la fede e allora come si fa, poveri bimbi con fratture più o meno evidenti, una marea di vecchietti che tentano, con più o meno successo, di svenire nella saletta minimal dell'accettazione per passare davanti ai bambini.
Alle 17:35 io e un compagno di sventure (le ultime ruote del carro, giacché abbiamo un età compresa tra i 12 e 55 anni e non sveniamo né zoppichiamo) chiediamo notizie. Al mio compagno di sventura (un personaggio che viaggia con in mano un libro Come diventare filmaker, al confronto il mio tomo in francese su famiglia e lavoro fa ridere i polli) dicono che deve aspettare almeno 5 ore. Decidiamo per la fuga, lamentandoci sonoramente con gli astanti che ancora devono fare l'accettazione. "E' una cosa assolutamente indegna!", "Che mancanza di organizzazione" "Ma che ci mandino in un altro Pronto Soccorso, se non sono in grado!!", "Ditemi voi se il PS delle Ossa Rotte ha una sola sala per le radiografie!!!".
Inizia il compagno di merende
"Come si chiama?"
"Antonio San Gennaro"
"Ah, ma è parente del dott. San Gennaro?"
"Ma secondo lei se io fossi stato parente del dott. San Gennaro, stavo ad aspettare 4 ore senza concludere niente?"
"Ah, ma forse lei sta insinuando che i parenti dei medici passano prima?"
Ci manca solo la querelle parentale nella Sanità Italiana, mi intrometto all'istante: "Ma no, ma no, era una cattiveria del tutto gratuita... Posso firmare anch'io per andarmene?"
Intanto con Antonio San Gennaro commentiamo sottovoce: "Siiiii come se non sapessimo come funzionano gli ospedali"
"Come si chiama?"
"Lorenza La Sventurata"
"Ah, eccola. Allora abbandona?"
Ma che, stavamo giocando a poker?
"Sì, me ne vado"
Voglio andare a casa dai miei figli, ecco cosa voglio.
Osservo che digita qualcosa sullo schermo. Mi avvicino per leggere: La paziente decide di andare via
L'infermiere mi guarda con sguardo di sfida: "Va bene?"
"Mah, sì, più o meno. Buongiorno"
La paziente se ne va con gomito dolorante, esasperata e senza aver visto un medico in quasi 4 ore di attesa. Dato che la paziente reputa avere cose migliori da fare, tra le quali stare con i propri figli. E dato che la paziente reputa vergognoso che i pazienti vengano lasciati pomeriggi interi in sala d'attesa, attendendo chissà che.
Se poi il gomito è rotto, lo scopriremo solo vivendo, ma non grazie all'Ospedale delle Ossa Rotte. Diffidatene.
E dato che l'istinto materno resiste pervicacemente anche su platform e tacco 10, nei due secondi di caduta pensi solo a proteggere l'infausta pargola dal pericolo, e quindi tenti un avvitamento carpiato, atterrando sul gomito e sul ginocchio. Ringrazi il cielo di non esserti rotta una caviglia, è vero. Ma ti ritrovi con un gomito dolorante. Per non parlare del fatto che vai in bagno a ripulirti e svieni come una pera cotta.
Gomito rotto? Mah, non sembra.
Il giorno seguente decidi dunque d'andare dalla Grande Ignava, la medica condotta. Tu NON vuoi andare al Pronto Soccorso. Ma con l'Ignava non c'è scampo: "Vada al Pronto Soccorso, così sistema tutto in una volta sola".
E quindi, vai al Pronto Soccorso del Grande Ospedale delle Ossa Rotte, che quello vicino a casa assiste unicamente infanti e puerpere, e di un gomito forse-rotto non se ne fanno proprio un bel niente.
All'orrendo Pronto Soccorso delle Ossa Rotte non si capisce neanche quale sia l'ingresso (forse perché davanti all'ingresso sono piazzati due cartelli luminosi di divieto d'accesso?): tutto ciò non è molto accogliente, né tanto meno bene augurante.
C'è un tendone rosso che non è un chiringuito, ma il luogo dove possono sostare le autoambulanze. C'è un ingressino minuscolo, una minuscola sala d'aspetto, una minuscola accettazione: avendolo appena risistemato, hanno chiaramente optato per una scelta minimal. Logico, no, per essere l'Ospedale delle Ossa Rotte più facilmente raggiungibile in città?
Dopo più di mezz'ora passo all'accettazione.
Dopo tre ore dall'accettazione sono ancora accasciata sulla sedia, senza che nessuno si sia degnato di dirmi nulla. Il mio gomito non è stato decretato urgente, quindi davanti a me passano stuoli di zoppi, padri di famiglia con l'anulare insaccato che non vogliono togliersi la fede e allora come si fa, poveri bimbi con fratture più o meno evidenti, una marea di vecchietti che tentano, con più o meno successo, di svenire nella saletta minimal dell'accettazione per passare davanti ai bambini.
Alle 17:35 io e un compagno di sventure (le ultime ruote del carro, giacché abbiamo un età compresa tra i 12 e 55 anni e non sveniamo né zoppichiamo) chiediamo notizie. Al mio compagno di sventura (un personaggio che viaggia con in mano un libro Come diventare filmaker, al confronto il mio tomo in francese su famiglia e lavoro fa ridere i polli) dicono che deve aspettare almeno 5 ore. Decidiamo per la fuga, lamentandoci sonoramente con gli astanti che ancora devono fare l'accettazione. "E' una cosa assolutamente indegna!", "Che mancanza di organizzazione" "Ma che ci mandino in un altro Pronto Soccorso, se non sono in grado!!", "Ditemi voi se il PS delle Ossa Rotte ha una sola sala per le radiografie!!!".
Inizia il compagno di merende
"Come si chiama?"
"Antonio San Gennaro"
"Ah, ma è parente del dott. San Gennaro?"
"Ma secondo lei se io fossi stato parente del dott. San Gennaro, stavo ad aspettare 4 ore senza concludere niente?"
"Ah, ma forse lei sta insinuando che i parenti dei medici passano prima?"
Ci manca solo la querelle parentale nella Sanità Italiana, mi intrometto all'istante: "Ma no, ma no, era una cattiveria del tutto gratuita... Posso firmare anch'io per andarmene?"
Intanto con Antonio San Gennaro commentiamo sottovoce: "Siiiii come se non sapessimo come funzionano gli ospedali"
"Come si chiama?"
"Lorenza La Sventurata"
"Ah, eccola. Allora abbandona?"
Ma che, stavamo giocando a poker?
"Sì, me ne vado"
Voglio andare a casa dai miei figli, ecco cosa voglio.
Osservo che digita qualcosa sullo schermo. Mi avvicino per leggere: La paziente decide di andare via
L'infermiere mi guarda con sguardo di sfida: "Va bene?"
"Mah, sì, più o meno. Buongiorno"
La paziente se ne va con gomito dolorante, esasperata e senza aver visto un medico in quasi 4 ore di attesa. Dato che la paziente reputa avere cose migliori da fare, tra le quali stare con i propri figli. E dato che la paziente reputa vergognoso che i pazienti vengano lasciati pomeriggi interi in sala d'attesa, attendendo chissà che.
Se poi il gomito è rotto, lo scopriremo solo vivendo, ma non grazie all'Ospedale delle Ossa Rotte. Diffidatene.
venerdì 4 giugno 2010
Sbrodolamenti pre-weekend (di scuola e di una mamma incavolata)
Ho letto il post di Jolanda, dopo la sua riunione a scuola.
Stavo per scrivere un commento così lungo, che alla fine ho iniziato a scrivere qui.
E' fine Maggio, e alla scuola di mio figlio organizzano a sorpresa una riunione per decidere delle sorti del modulo: i genitori chiedono di partecipare alla riunione, ma non viene loro permesso di entrare. Mio figlio frequenta un modulo "mite": esce alle 13 due soli giorni alla settimana, martedì e venerdì. Se poi consideriamo che il venerdì è pre-festivo (un cavallo di battaglia della mia pediatra) i pomeriggi da rimpallare sono, alla fine, uno. Peraltro devo essere sincera: lui è sempre stato molto contento di avere questo pomeriggio off e per me era una soluzione sostenibile, ma al pelo: non meno scuola di così.
Ai detrattori del tempo pieno (pochi, per la verità) rispondo con una frase fatta: i tempi sono cambiati. Ai nostri vecchi tempi le madri non lavoravano, c'erano uno stuolo di nonni, zie e soprattutto di BAMBINI. Oggi, in Italia soprattutto, i bimbi sono pochi e, in genere, malvoluti e fastidiosi: urlano, corrono, giocano al pallone. In aree a loro riservate, parchi con recinzioni tipo zoo, perché nei cortili non si può più giocare. Consegnare un bimbo ai pomeriggi a casa vuol dire anche consegnarlo alla solitudine, alla Wii e alla noia. Con genitori troppo indaffarati e troppo soli.
A Dicembre genitori e preside si sono coalizzati chiedendo alle insegnanti di mantenere lo stesso orario per il modulo, e sembrava ce l'avessimo fatta. Poi sono arrivati i tagli di Maggio, ed è stata Caporetto. Cosa succederà, però, lo scopriremo a Settembre
Io guardo la preside, guardo gli insegnanti ed è avvilente. E' avvilente perché non c'è nessuna possibilità di alleanza: i genitori senza parole e senza idee, e le insegnanti trinceate dietro chili di burocrazia e contratti collettivi e altre cose che a molti di noi sembrano l'IperUranio, si chiamano diritti sindacali.
Guardo questo Paese vecchio che sta sistematicamente distruggendo la possibilità di fare futuro di un'intera generazione, per salvare i diritti degli insider, di quelli che hanno una pensione, un posto fisso, una poltrona da difendere con i denti. Guardo noi, che non sappiamo come fare per riprenderci i nostri diritti, e che in fondo non pensiamo che queste cose ci spettino di diritto, ma che siano dei "favori". Guardo una città in cui le manifestazioni non sono più autorizzate, in cui i genitori vengono sistematicamente sbeffeggiati, in cui mi capita di sentir dire: "Beh, sai, MIO figlio.."
Guardo la scuola italiana e mi chiedo perché accanirsi sull'unico pezzo di scuola che funziona, e non sono io a dirlo, sono le statistiche internazionali: gli alunni italiani delle scuole elementari hanno punteggi altissimi. E' dalle medie in poi, che è lo sfacelo. Però continuano a sbucar fuori Università: a Sesto San Giovanni, a Camerino, a Canicattì, a Salacippa. Quanto costa un'Università? Tanto, troppo. Abbiamo un tasso di abbandono scolastico pauroso, insegnanti reclutati come si reclutavano gli spazzini, quando c'erano, e che passano il tempo a lamentarsi, professori ottuagenari il cui solo mantra è: Après moi, le déluge.
Se genitori ed insegnanti riuscissero a mettersi intorno ad un tavolo e a cercare una soluzione, volete non trovarla? Volete che i genitori non sborsino soldi per permettere ai propri figli di seguire un corso di informatica durante l'orario scolastico, o un corso di teatro, o di musica, o una di quelle materie che ora non potranno più fare, durante l'orario scolastico e dentro la scuola, tutti insieme come classe? Non si può, ma non si può neanche proporre, una cosa del genere. Pura follia.
Dove sono le associazioni dei genitori? Quelle che organizzano le feste, ricchi premi e cotillions, combattono per la parità scolastica.... E poi?
E infine, ultima domanda: dov'è il nostro Ministro dell'Istruzione? Nella sua dorata alcova ministeriale, a godersi quale privilegio, giacché quello della maternità lei, poveretta, non può goderselo?
E' fine Maggio, e alla scuola di mio figlio organizzano a sorpresa una riunione per decidere delle sorti del modulo: i genitori chiedono di partecipare alla riunione, ma non viene loro permesso di entrare. Mio figlio frequenta un modulo "mite": esce alle 13 due soli giorni alla settimana, martedì e venerdì. Se poi consideriamo che il venerdì è pre-festivo (un cavallo di battaglia della mia pediatra) i pomeriggi da rimpallare sono, alla fine, uno. Peraltro devo essere sincera: lui è sempre stato molto contento di avere questo pomeriggio off e per me era una soluzione sostenibile, ma al pelo: non meno scuola di così.
Ai detrattori del tempo pieno (pochi, per la verità) rispondo con una frase fatta: i tempi sono cambiati. Ai nostri vecchi tempi le madri non lavoravano, c'erano uno stuolo di nonni, zie e soprattutto di BAMBINI. Oggi, in Italia soprattutto, i bimbi sono pochi e, in genere, malvoluti e fastidiosi: urlano, corrono, giocano al pallone. In aree a loro riservate, parchi con recinzioni tipo zoo, perché nei cortili non si può più giocare. Consegnare un bimbo ai pomeriggi a casa vuol dire anche consegnarlo alla solitudine, alla Wii e alla noia. Con genitori troppo indaffarati e troppo soli.
A Dicembre genitori e preside si sono coalizzati chiedendo alle insegnanti di mantenere lo stesso orario per il modulo, e sembrava ce l'avessimo fatta. Poi sono arrivati i tagli di Maggio, ed è stata Caporetto. Cosa succederà, però, lo scopriremo a Settembre
Io guardo la preside, guardo gli insegnanti ed è avvilente. E' avvilente perché non c'è nessuna possibilità di alleanza: i genitori senza parole e senza idee, e le insegnanti trinceate dietro chili di burocrazia e contratti collettivi e altre cose che a molti di noi sembrano l'IperUranio, si chiamano diritti sindacali.
Guardo questo Paese vecchio che sta sistematicamente distruggendo la possibilità di fare futuro di un'intera generazione, per salvare i diritti degli insider, di quelli che hanno una pensione, un posto fisso, una poltrona da difendere con i denti. Guardo noi, che non sappiamo come fare per riprenderci i nostri diritti, e che in fondo non pensiamo che queste cose ci spettino di diritto, ma che siano dei "favori". Guardo una città in cui le manifestazioni non sono più autorizzate, in cui i genitori vengono sistematicamente sbeffeggiati, in cui mi capita di sentir dire: "Beh, sai, MIO figlio.."
Guardo la scuola italiana e mi chiedo perché accanirsi sull'unico pezzo di scuola che funziona, e non sono io a dirlo, sono le statistiche internazionali: gli alunni italiani delle scuole elementari hanno punteggi altissimi. E' dalle medie in poi, che è lo sfacelo. Però continuano a sbucar fuori Università: a Sesto San Giovanni, a Camerino, a Canicattì, a Salacippa. Quanto costa un'Università? Tanto, troppo. Abbiamo un tasso di abbandono scolastico pauroso, insegnanti reclutati come si reclutavano gli spazzini, quando c'erano, e che passano il tempo a lamentarsi, professori ottuagenari il cui solo mantra è: Après moi, le déluge.
Se genitori ed insegnanti riuscissero a mettersi intorno ad un tavolo e a cercare una soluzione, volete non trovarla? Volete che i genitori non sborsino soldi per permettere ai propri figli di seguire un corso di informatica durante l'orario scolastico, o un corso di teatro, o di musica, o una di quelle materie che ora non potranno più fare, durante l'orario scolastico e dentro la scuola, tutti insieme come classe? Non si può, ma non si può neanche proporre, una cosa del genere. Pura follia.
Dove sono le associazioni dei genitori? Quelle che organizzano le feste, ricchi premi e cotillions, combattono per la parità scolastica.... E poi?
E infine, ultima domanda: dov'è il nostro Ministro dell'Istruzione? Nella sua dorata alcova ministeriale, a godersi quale privilegio, giacché quello della maternità lei, poveretta, non può goderselo?
domenica 30 maggio 2010
I perché di un blackout (prima che mi mettano in galera)
C'era una volta Una.
Era estate, ed Una aveva due minuti più del solito.
Siccome Una fa le cose senza leggere prima le istruzioni, ha iniziato senza conoscere le regole del gioco, guidata dal suo istinto e dalla sua passione.
Poi, pian piano, ha scoperto i meccanismi, ha conosciuto un sacco di persone interessanti, ha avuto modo di confrontarsi, ha trovato il suo spazio.
Una era proprio contenta, del suo minuscolo spazio, stropicciato e disordinato e da sistemare, proprio come casa sua. Vorrebbe sistemarlo, come vorrebbe sistemare casa, ma il suo blog e la sua casa rimangono sempre uguali.
Poi Una si è ritrovata a fare il giocoliere.
Fosse per lei, avrebbe fatto la casalinga.
Perché lei, di fare il giocoliere, non è proprio capace.
E così, ora Una è strattonata a destra e manca e ha così tanti pensieri per la testa che non riesce più a raccontare nulla di sensato, se mai ci è riuscita.
Almeno fino al prossimo post.
Sempre che prima non mettano Una in galera: per sapere il perché, leggete qui.
Però, in galera, Una si porterà questo da leggere:
Grazie ad Isabella, che ha tratto ispirazione dal blog per fare ad Una questo bel regalo.
In un periodo in cui Una si aspetta (a ragione) solo cazziatoni da tutti, è stato davvero un bel regalo.
mercoledì 19 maggio 2010
Una nonna, e sua nipote
Le nonne sono esseri angelici: compaiono nei momenti di bisogno, lievi e silenziose, ad accudire i nipoti e a portare loro conforto. A prenderli per mano, amorevolmente, all'uscita da scuola, accompagnandoli a casa lungo il viale alberato, con il sole dorato che splende alle loro spalle.
Le nipotine sono essere dolci, amano coccolare i propri nonni, cosa che ormai non fanno più i figli ingrati e spesso litigiosi, a torto, con i loro cari. Le nipotine hanno lunghe chiome dorate, con gli occhioni e la boccuccia, il naso a patata e i codini, vestite sempre come la nonna avrebbe desiderato vestire la propria figlia, senza mai riuscirci.
La Grande Nonna arriva a scuola per lo più in affanno, maledicendo quella svitata di sua figlia che si ostina a voler lavorare, dopo aver messo al mondo le povere creature. Ritira la piccoletta e si avvia a ritirare anche l'amato nipote, alla scuola elementare. Succede però che, nel cortile della scuola del fratello, piccoletta inizi a piangere e strillare in modo inconsulto, per motivi del tutto ignoti alla povera, malcapitata, Grande Nonna.
Una volta raggiunta faticosamente la via di casa a bordo della macchina da 15 posti che la Grande Nonna si ostina a guidare, noncurante dei divieti e del fatto di costituire un pericolo pubblico nel traffico cittadino, piccoletta si placa e le due riacquistano per un momento la loro parvenza angelica, entrambe soddisfatte della pace raggiunta.
Pace provvisoria, perché la piccoletta, una volta accomodata sul divano, mentre guarda la TV, scoppia in un pianto inconsulto condito da abbondanti strilli, a causa del terribile fratello, che ha sfilato da sotto il di lei naso una fetta biscottata con Nutella.
La Grande Nonna, nota per essere quella presenza angelica di cui dicevamo, guarda allora la piccoletta dritta negli occhi e, fra uno strillo e l'altro, la consola con le incommensurabili parole:
"Piccoletta, tu hai dei problemi".
lunedì 17 maggio 2010
Breve conversazione casalinga sulla parità
L'Ing. si lamenta perché io mi lamento sempre.
"Ing., che dici, facciamo cambio di vita? Io mi prendo la tua, tu ti prendi la mia! Tutto compreso!"
"Ma neanche per sogno"
Ecco, appunto.
venerdì 14 maggio 2010
E mo', mamme, rispondete un po' a questo
Sarò breve.
Questo post è una marketta.
Una marketta dalla quale non ci ricavo proprio un bel nulla.
Però leggete bene.
Il Mouvement Mondial des Mères, una di queste ONG molto blasée, nate dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha prodotto un questionario online, per un'indagine a livello europeo su maternità e conciliazione famiglia-lavoro.
Si tratta di una quindicina di domande, tra cui anche domande aperte dove potete scrivere quello che volete. Per esempio, c'è una domanda che fa: "Cosa chiedereste ai governanti europei, se poteste?", e voi potete scrivere quello che vi passa per la mente.
Le italiane che hanno risposto finora sono un po' pochine. Possiamo far di meglio, scommetto.
Per cui, senza dubbio e senza indugio, rispondete a questo.
martedì 11 maggio 2010
Caccia al tesoro: e il finale dov'è?!?
Ore 4 (di notte): “Maaaaaaaaaammaaaaaaaaaaa”! Il nano piccolo (altrimenti detto "il nano urlante") chiama. Bollente, febbre (e beh, c’era da aspettarselo, settimana scorsa aveva la febbre il nano grande). Tachipirina e di nuovo a letto a cercare di riprendere sonno.
Ore 7,30: “Maaaaaaamma!” questa sono io, al telefono con la MIA mamma (detta anche "la super nonna"): "Il nano piccolo ha la febbre, devo andare in ufficio, venite?" senza neanche pensare che i nonni potrebbero avere una loro vita normale, prima di trasformarsi in quotidiani super-tati, dalle 4 alle 7 del pomeriggio.
Piove (ma va'?!?), ma ugualmente prendo la bici, anzi la family bike, il nostro camper su due ruote, con cui ogni mattina porto i nani all'asilo, prima di andare in ufficio.
Accompagno il nano grande, e poi via: alla ricerca di un ciclista. Da giorni la family bike ha un freno rotto, oggi che piove posso lasciarla in riparazione.
Primo ciclista, chiuso.
Secondo ciclista, aperto. Appena vede il mio camper su 2 ruote sbianca, ma riacquista professionalità e alla fine si convince che può metterci mano.
"Però, signora, tra 40 minuti deve tornare a prenderla"
"Scusi, piove, scapperei in ufficio con i mezzi, non posso passare a ritirala stasera?" rispondo, guardando con insistenza l’ampio parco bici in deposito sullo spiazzo davanti al negozio.
"Eh no signora, tassativamente tra 40 minuti, la sua bici è troppo ingombrante! Guardi che sennò gliela faccio rottamare, e non scherzo!"
"Aaaaaaargh! Vabbè, vedrò di far passare il nonno" (sempre lui, quello super).
Corro a prendere l’autobus strazuppo di gente strazuppa e chiamo i nonni.
Cellulari staccati, tutti e due.
Noi a casa non abbiamo il telefono fisso, per risparmiare.
Lampo di genio: chiamo i vicini di casa!
Peccato che non ho il numero... Lampo di genio numero due: chiamo marito, è in ufficio dall'alba e può darmi lui, il numero dei vicini.
Marito non risponde (trovatemi un marito che risponde al cellulare, quando avete bisogno di lui, e ve lo ruberò).
L'autobus stracolmo e strazuppo arranca penosamente nel traffico, guardo l'orologio e mi accorgo che è già passata mezz'ora abbondante, io sono in ritardo per la riunione e dei nonni nessuna traccia.
Questo post è stato scritto da Elpa, per raccontarmi una sua mattinata.
Come finirà?
Raccontatecelo voi!
E poi noi vi sveleremo come è andata a finire, per davvero!
mercoledì 5 maggio 2010
C'è un film bellissimo...
C'è un film bellissimo che parla di una città bellissima.
Una città di cui ci si innamora di notte.
Una città dove volano i gabbiani, anche se non è una città di mare.
E' un film perfetto, dal punto di vista formale ed estetico.
E' un film che è una relazione di testa, e non di pancia.
E' un film italiano, con un finale che ho amato tantissimo.
P.S. Il mio amore per il protagonista è durato fino a quando l'ho visto nella pubblicità di una nota marca di detersivi (per piatti, credo, o forse per il bucato). Da quel momento, l'innamoramento è svanito tutto d'un tratto.
domenica 2 maggio 2010
Quello che non sopporto degli italiani all'estero
Capisco che questo post potrebbe essere scritto da uno alto come me, con molti capelli in meno, tre chili di cerone in più, e sicuramente più abituato della sottoscritta a portare i tacchi.
Però.
Però gli italiani devono piantarla di andare all'estero, e parlar male dell'Italia.
Perché gli italiani hanno questo modo molto poco dignitoso di piangere sulle spalle altrui delle proprie disgrazie.
E così, mentre la nostra autostima sprofonda verso lo zero assoluto, l'orgoglio nazionale di tutti gli altri aumenta verso vette insperate ed altezze stratosferiche.
Per esempio.
"Ma come vai da Dortmund a Berlino?", domanda l'incauta italica.
"In treno, 3 ore e mezzo!", risponde gonfiando il petto il giovane tedesco.
"Con un treno veloce?", precisa nuovamente l'incauta.
"Sì, NOI abbiamo i treni veloci!!" e a questo punto spunta sul viso un sorriso d'orgoglio germanico.
Rimango a bocca aperta.
Perché, noi non li abbiamo i treni veloci?!?
"Oh, la sinistra italiana, che sfacelo, che disgrazia! Neanche un'idea, un progetto! Povera Italia!! E come hanno ridotto l'Università italiana, senza soldi, senza fondi!" si dispera la profa italiana, di Armani vestita, con ciuffo fluente e smeraldo al dito. Perché dovete sapere che parlare della sinistra italiana suscita almeno tanta commozione, quanto raccontare le ultime ore di Madre Teresa di Calcutta.
"Oh, Milano, la mia città! Come l'hanno ridotta, come l'hanno mortificata! Una città morta, dal punto di vista culturale!" continua la profa al secondo bicchiere di vino bianco (francese).
Gli astanti, un polacco ed un'austriaca, assumono un'aria contrita e compunta, sfoderano il loro miglior viso da lutto, e al terzo bicchiere di vino e lamentele se ne escono tutti e tre in un comune sospiro di disperazione: "Oh, povera Italia!".
Il polacco e l'austriaca si sarebbero fatti ammazzare, piuttosto che produrre un tale teatrino di disperazione davanti agli altri.
Noi, no. Orgogliosi della nostra disperazione, la sbandieriamo al mondo.
E così tutti pensano che andiamo in giro con il carrettino, viviamo in tre generazioni in una casa di 90 metri quadri, la Kartell sia una sottomarca dell'Ikea, a Milano si producano ancora pneumatici e acciaieria pesante, i docenti universitari siano dei martiri della Patria che combattono contro l'oscurantismo, e la nostra fine sia molto, molto vicina.
L'Italia è povera. Ma per piacere, teniamoci almeno la dignità.
mercoledì 28 aprile 2010
Scusi, va a Barcellona?
Alle 5:45, con il cuore infranto e 4 ore di sonno alle spalle, salgo su un taxi che mi aspetta sotto casa.
"Mi porta a Cadorna?" chiedo al tassista che sembra la fotocopia di Jovanotti, solo con gli occhi un po' più a palla.
"Va a Barcellona?"
"No, veramente no"
...
Piazza Ascoli
...
Viale Regina Giovanna
...
Porta Venezia
"Ah, ma è per la partita!!!"
Il tassista mi guarda nello specchietto retrovisore come se avesse in macchina un'aliena.
Segue giustificazione legata all'orario, gli eventi cosmici e la mia evidente inettitudine di genere sull'argomento.
"Signora, ho quarant'anni e un'emozione così l'aspetto da una vita!"
Segue dotta disquisizione secondo la quale lo scudetto è lo scudetto, ma la Champions è la Champions. Nel caso non l'avessi capito.
"Signora, la vuole leggere la Gazzetta di oggi? Ah ma no, non fa per lei"
Non è bello, quando anche i taxisti non ti danno alcuna speranza di cambiare.
lunedì 26 aprile 2010
La differenza tra Milano e non-Milano
Grande Nonna e ZioManager abitano entrambi fuori Milano. La loro casa e l'annesso giardino differiscono in base all'epoca storica alla quale i due appartengono: il giardino di Grande Nonna è circa dieci volte quello di ZioManager.
Entrambi i giardini, comunque, sono una delle cose che mio figlio ama e desidera e invidia di più a Grande Nonna e a ZioManager (più di una volta ha espresso desiderio di andare a vivere da GrandeNonna, vi lascio solo immaginare il crepacuore paterno).
Entrambi i miei figli hanno faticato parecchio, a capire la differenza tra Milano e non-Milano.
Sabato sera, di ritorno da casa di ZioManager.
Piccoletta: "Ma perché c'è così tanto silenzio, in questa via? Siamo rimasti solo noi e quel signore con il cane e sono tutti a dormire?"
Tento spiegazione di approccio sul fatto che nei paesi intorno a Milano non ci sono tanti posti dove andare, non è come in città dove invece ci sono cinema e ristoranti, ma ottengo in risposta un mutismo poco rincuorante.
Interviene piccoletto: "Vedi, la differenza tra Milano e non-Milano è così: qui ci sono gli alberi, a Milano ci sono i grattacieli"
Giuro, sulla vicenda degli alberi non ho proferito parola, con i miei figli. Ma passate da Porta Nuova di sera con dei bambini, e sarà come portarli sul set di Batman.
venerdì 23 aprile 2010
Memo da una città triste (e questo è triste, da qualsiasi punto di vista lo si guardi)
Mi sono sentito dire che gli alberi in un contesto urbano hanno bisogno di terra per le radici, e gliela abbiamo data. Mi sono sentito dire che gli alberi in città soffrono, e abbiamo trovato il modo di farli stare bene. D’altronde, se soffrono gli alberi figuriamoci la gente e i bambini. Mi hanno fatto notare che alcuni alberi provocano allergie, e abbiamo selezionato piante che non emettono pollini. E poi che perdono le foglie, e bisogna raccoglierle: giusto. E poi che coprono le insegne dei negozi: vedete voi. E infine, che rubano spazio ai parcheggi per le automobili. E su questo hanno ragione: gli alberi prendono inevitabilmente il posto dei parcheggi e del traffico automobilistico.
Ieri hanno dipinto le strisce blu per i parcheggi a pagamento sotto casa. Una puzza indescrivibile.
E la Marisa, che in portineria attaccava bottone in lingue mai sentite sulla faccia della terra con gli operai-pittori: "Signoooooooora, e come fa adesso il sig. Brambilla, che ha TRE macchine? Sa, POVERINO, a lui quelle macchine servono, lui ha un ristorante, COME FARA'?!?"
Il ristorante sta a 1 km da qui.
mercoledì 21 aprile 2010
Di commento in commento, dritti alle domande esistenziali
Seguendo il thread del post precedente
(ma come parloooooooooo)
ecco cosa tiro fuori dal magico cilindro oggi.
Igraine scrive:
Già. Ed è anche pieno (il mondo, suppongo, ndr) di mamme che vanno per tentativi, ma soprattutto di persone che devono tenere il lavoro che hanno perché non hanno la forza di cambiare o non hanno alternative. E devono guadagnare, anche se non sono realizzate. Che tipo di mamme saranno?La domanda è intrigante e non può che farmi sorridere. Che tipo di mamme saranno, coloro che non hanno la forza di cambiare?
Da quando ho figli, mi sono messa il cuore in pace: che tipo di madre sarò lo scoprirò quando i miei figli avranno 30 anni, suppergiù. Quindi, occhio e croce, considerando che viviamo in tempi bui, diciamo che mi rimangono ancora 25 anni, per capire che madre sarò.
L'altra cosa che sempre mi colpisce, in questi discorsi, è la passività.
Ho fatto lavori che odiavo. Ho accettato lavori che dovevo accettare per forza.
Ma ho sempre pensato che non era tutto lì, e che comunque c'è sempre una chiave di volta anche per uscire dalle situazioni peggiori. Che anche le situazioni peggiori ti insegnano qualcosa, se tu sai farti insegnare qualcosa su di te, sul mondo, su come funziona.
Quando ho letto La fortuna non esiste (un meraviglioso libro sulla speranza, ma quella che ti guadagni) ad un certo punto Mario Calabresi si sofferma a chiedersi se quello che fa andare avanti nonostante tutto sia fede od ottimismo: non so se sia fede, o ottimismo, o forse incoscienza (perché bisogna essere anche un po' incoscienti, a dirla tutta).
Quando vedo le torme di operai in cassa integrazione con la disperazione nello sguardo, padri di famiglia che non sanno di cosa daranno da mangiare ai propri figli, mi si contorcono le budella.
Intanto, perché vedere un padre disperato fa contorcere le budella.
E poi perché, ogni santa volta, non posso fare a meno di chiedermi:
"Ma questi, sono venuti al mondo per stare alla catena di montaggio? A tutti i costi?!?"
Ma possibile che non ci sia neanche l'idea di un'altra prospettiva, di un'altra possibilità, di un'altra vita?!?
Questo, è quello che mi uccide del sistema: essere convinti che non c'è un'altra prospettiva.
Non lo so. Io il fallimento, come prospettiva ultimativa, non riesco ad accettarlo.
Sarà che sono giovane?
(Eh sì, perché in Italia capita che a 37 anni quasi suonati tu ti senta dire che sei giovane)
Anche per le mamme, in fondo, è così. C'è chi fa la madre martire di marito-lavoro-figli senza altra possibilità. Ma perché non ha neanche l'idea che possa essere altrimenti.
C'è chi cerca un'altra prospettiva, anche se cambiare è difficile, rischioso, ti espone forse al linciaggio e ad un'alta percentuale di fallimenti.
Il problema forse non è solo e non tanto dover lavorare, è non poter cambiare prospettiva.
Non so, voi che ne dite? Cosa rispondiamo ad Igraine?
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