martedì 29 settembre 2009

Dialoghi milanesi


In bici.

"CAZZO, SEI IN CONTROMANO, SCEMA!!
"ERO SULLE STRISCE PEDONALI, STRONZO!!"

Ma il baldo giovane sull'Audi verde bottiglia era già ripartito, sbattendo la portiera della macchina che aveva aperto apposta per insultarmi.

domenica 27 settembre 2009

Il piacere dell'unicità: la differenza tra figlio n.1 e figlio n.2 (o tra figlio n.1 e tutti gli altri)


Questa sera, il piccolo è a San Siro. A vedere il Milan insieme alla sua maestra e a (pochi) altri volenterosi ultras settenni. L'ingegnere non è stato scelto dalla maestra come padre (ultras) accompagnatore, ed è rimasto a casa a rosicare.

Uscito il piccoletto come se dovesse partire per il militare, la piccoletta, dopo dieci minuti, ha iniziato a chiedere dove fosse il fratello. Poi ha iniziato a rompere, voleva qualcuno con cui giocare. Poi si è infilata il ciuccio in bocca e ha iniziato a lagnare, poi abbiamo acceso la TV per vedere la partita ed è stata l'apoteosi di "voglio vedere mio fratelloooooooo". Chiaramente, non è stata accontentata.

Finché, ad un certo punto, si è placata e si è accoccolata in mezzo, tra me e l'ingegnere. Gustandosi finalmente cinque minuti da figlia unica.

Suo fratello è esattamente il contrario: quando sa che non ha l'amata ed odiata sorella tra i piedi, gode del suo ritorno all'unicità. Ultimamente, la sera, appena capisce che la sorella si è addormentata, sgattaiola giù dal letto e arriva in cucina a chiedere il dolce e godersi cinque minuti da figlio unico.

Non so se essere figli primi sia più facile o più difficle, di certo rimane questa sensazione da "paradiso perduto", quando tutti gli sguardi e tutte le attenzioni erano per te, e il piacere di tornare, anche solo per pochi minuti, unici. E anche da mamma, devo dire, gustarsi i propri figli nella loro unitarietà, cosa rara e preziosa da queste parti, è davvero bello.

giovedì 24 settembre 2009

Lavoro da casa, ossia: quando mi sento più capita dagli uomini che dalle donne


Una delle domande più imbarazzanti alle quali mi tocca rispondere, nella vita, è:
"Ah, ma tu lavori! E CHE LAVORO FAI?!?"

All'inizio tentavo di spiegare.

Un giorno, un amico (ingegnere, pure lui) mi disse: "Ah, che bello. Un'altra che, quando deve spiegare che lavoro fa, non si capisce un cazzo. Come ti capisco".

Al che ho intuito che dovevo sintetizzare il mio lavoro con espressioni efficaci.

"Ah, ma tu lavori! E CHE LAVORO FAI?!?"
(con estremo imbarazzo) "Ehm... Scrivo"
"Sei giornalista?"
"Veramente no"
"..."

No, non sono giornalista e no, non sono Jane Austen.

Quindi, ultimamente, ho cambiato tattica.
"Ah, ma tu lavori! E CHE LAVORO FAI?!?"
"Lavoro da casa"

Al che.

Donna, single/sposata/senza figli/in carriera:
"Ah"
Sottotitolo: che sfigata, non mi interessi, non hai un lavoro dignitoso, frequenterai solo mamme pallose, di te non mi posso servire in alcun modo.

Donna, madre/lavoratrice full time/part-time:
"Ooooooooh che meraviglia non sai quanto ti invidio..."
Sottotitolo: aspetta un po' che ti sistemo facendoti pesare tutti i miei doveri e tutti i miei privilegi di donna a tempo indeterminato che prenota le ferie con sei mesi di anticipo, perché tanto so che lo stipendio lo prendo

Uomo, single/in carriera/padre/marito/divorziato/gay:
"Ma come fai?!?"
oppure
"Ma... Riesci?!?"

Ecco, questo è uno dei tanti momenti in cui mi sento capita più dagli uomini, che dalle donne.

giovedì 17 settembre 2009

Il senso di colpa delle madri inesperte e abbandonate. Breve saggio sull'arte di martoriarsi


Martedì, piove. Rientro a casa alle 13 con il piccolo. Apro la porta di casa, entro, metto l'ombrello nel portaombrelli, appoggio le cose. Il piccolo non entra, come al solito: uno dei passatempi preferiti dei miei figli è gironzolare e nascondersi sul pianerottolo.

Esco a cercarlo, lo trovo sulle scale con il cappuccio della felpa tirato in su. Mi avvicino e lo chiamo per entrare, è di schiena. Lo giro e mi accorgo che sta piangendo. "Perché piangi?!?", gli alzo il viso e vedo... Colare un sacco di sangue.

Ok, niente panico.

Lo prendo in braccio, lo porto in bagno cercando di non sgocciolare sangue ovunque (che sennò mi tocca anche pensare al parquet), lo pulisco, e quando togliamo tutto il sangue vedo che ha un taglio, non molto grosso ma profondo, in testa, all'altezza dell'attaccatura dei capelli. A parte il taglio, mi sembra che stia benone, e che si sia spaventato più per il sangue che per la botta.

E' andato a sbattere contro l'angolo di una colonna del muro del pianerottolo, una cosa che sta lì più o meno da 70 anni.

Lo calmo, lo coccolo, asciughiamo il sangue che cola.
Non so che fare.

Mi viene in mente di una compagna di classe del piccolo che si era fatta male al sopracciglio. La mamma mi raccontava che aveva perso un sacco di sangue ma che il marito, medico (fisiatra), una volta considerata la ferita e visto che smetteva di sanguinare, non l'aveva portata a mettere i punti.

Temporeggio, mettiamo il ghiaccio (che oltre al taglio c'è anche la botta), mangia, lo medico di nuovo, gli metto il cerotto.

Chiamo la pediatra, sono le 14:15, dovrebbe essere in studio. Non risponde.

Toh, che strano.

Alla fine mi sembra stia bene, usciamo a prendere la piccola, e a fare un sacco di commissioni (lenzuola di quando hai disfatto i letti e ti sei accorta che le uniche altre lenzuola sono ancora a lavare e/o a stirare, chi lo sa, spesa di quando hai finito anche la carta igienica, cartoleria del secondo giorno di scuola, il tutto sotto la pioggia). Arriviamo a casa, ceniamo, incrocio l'ingegnere, esco di nuovo.

All'alba di mezzanotte, l'ingegnere mi fa:
"Ma esistono anche i cerotti fatti apposta per rimarginare le ferite, li vendono in farmacia"
"Ah"

Mercoledì mattina. Mi alambicco su quando portarlo in farmacia: di mattina no, il pomeriggio deve andare dal suo amico a giocare, quando riesco ad uscire dalla casa del suo amico sono le sette passate, è tardissimo, sta bene, torniamo a casa.
Mercoledì sera guardiamo la ferita: una ciocca di capelli si è incollata alla ferita, provo a toglierla tamponando con un batuffolo di cotone imbevuto di alcol, ma la ferita fa ancora male e il piccolo scappa. L'ingegnere inizia a dire che bisogna toglierla, chiaramente ormai ci vuole un intervento semi-chirurgico.
Mentre guarda The Mentalist, con una che è ricoverata all'ospedale, mi dice:
"Vedi?!? Quelli sono i cerotti che ti dicevo!"

Giovedì mattina, oggi, chiamo la pediatra.
Le spiego la faccenda e lei mi dice:
a. che per i capelli non succede niente, di lasciarli dove stanno
b. che fare i punti o mettere la colla (la colla?!?) ormai non serve a niente, tanto dopo 3 giorni (veramente è un giorno è mezzo) il processo di cicatrizzazione è già iniziato
c. che bisognava prendere i lembi della ferita e accostarli subito
d. che "gli rimarrà il segno..."

"Quindi, dovevo portarlo al pronto soccorso a mettere i punti?"
"Eh sì, signora, era meglio. Ma ormai è inutile"

L'ineluttabilità del mio sbaglio mi schiaccia, e pian piano il senso di colpa e di incapacità si impadroniscono del mio stomaco e della mia testa. Senso di colpa perché la maggior parte dei miei pensieri è occupata da un lavoro che devo chiudere questa settimana, e al quale sto cercando di dare un senso compiuto: ieri ero talmente felice di avere ben 7 ore filate per poter lavorare, per la prima volta da circa un mese e mezzo, che non ho pensato a nient'altro. E quindi penso a me, non a mio figlio. Senso di inadeguatezza perché sono una madre che non è capace di soccorrere il proprio figlio, sebbene solo leggermente ferito, che non l'ha portato né al pronto soccorso né in farmacia, che gli lascerà per tutta la vita la cicatrice della sua incapacità e della sua superficialità. Ora chiaramente si affacciano alla mia mente le ipotesi più funeste: infezioni, tetano, di tutto.

Penso allo sbrego che ha sul naso, frutto di una lotta con i peluches dell'IKEA a casa di un suo amico: ecco, anche in quel caso ho lasciato che la ferita si chiudesse da sé, e infatti ha ancora il segno dopo 9 mesi...

Due cicatrici. E non ha ancora sette anni. Ed è tutta colpa mia. Due cicatrici, per non parlare di quelle che non si vedono.

lunedì 14 settembre 2009

Cara Gelmini, ti scrivo


Questa mattina abbiamo puntato la sveglia alle 7.15 per tutti, e quando ho aperto gli occhi e ho sentito il rumore della pioggia, ho pensato che sì, era proprio il primo giorno di scuola.


«Ci sono alcuni dirigenti scolastici e insegnanti, una minoran­za, che disattendono l’attuazione del­le riforme». In che senso disattendo­no? «Ad esempio vogliono mantenere il modulo anche se il modulo è stato abolito con il passaggio al maestro unico prevalente». Alcuni docenti, co­me sa, non condividono la riforma. «Criticare è legittimo ma comportarsi così significa far politica a scuola e questo non è corretto. Se un insegnan­te vuol far politica deve uscire dalla scuola e farsi eleggere. Quella è la se­de per le sue battaglie, non la catte­dra », Corriere 14.09.2009


Cara Mariastella, abbiamo la stessa età, diamoci del tu. Abbiamo la stessa età ma, chiaramente, abbiamo vite diverse: tu gestisci la scuola, io i miei figli ce li mando, a scuola. Mio figlio frequenta il modulo, felice di farlo: per lui, quei due pomeriggi a settimana di libertà sono preziosi: non avevo mai riflettuto sulla differenza tra modulo e tempo pieno, la scelta mi era del tutto indifferente. Siamo stati costretti a scegliere il modulo, unica alternativa per inserirlo nella scuola che desideravamo, e ne abbiamo scoperto le potenzialità. La preside ci ha assicurato che, anche con la riforma, l'orario dei bambini che avevano già iniziato la scuola non sarebbe cambiato.

La piccoletta farà il tempo pieno: il numero di rientri pomeridiani fissati dalla riforma è decisamente troppo, da gestire, per una mamma squattrinata che lavora da casa come me e che non si può permettere la baby-sitter tre pomeriggi la settimana.

Tu volevi il maestro unico di riferimento: quest'anno mio figlio avrà un numero imprecisato di maestre (chiaramente, non sappiamo ancora quante). La docente di italiano ha lasciato la cattedra: con la riforma e i vari pastrocchi, le era rimasto un numero così esiguo di ore che ha preferito andare a fare l'insegnante di ginnastica alle superiori. Dal che deduco che, neanche alle superiori, l'ora di ginnastica ha alcun valore: nella nostra scuola, la preside impegna le sue esigue risorse per pagare un insegnante di ginnastica che, per due mesi all'anno, prepari i bimbi ai giochi sportivi scolastici. E allora, da mamma cattolica, ti chiedo: perché gli insegnanti di religione sì e quelli di ginnastica no?

Tu dici che i presidi che non hanno attuato alla lettera la tua riforma fanno politica: io dico che cercano di barcamenarsi, di portare avanti un percorso iniziato in prima elementare (perché, lo so che ti parrà strano, ma il modulo c'era prima che tu ci fossi) senza gravare eccessivamente sulle spalle delle famiglie (leggi mamme) italiane, e cercando di assicurare un minimo di continuità scolastica. Possiamo chiamarla anche disobbedienza civile, credo. La preside della scuola di mio figlio è tutto, tranne che una politicante: è una donna di un certo buon senso.

Cara Mariastella, in base alle tue affermazioni, in qualità di Ministro dell'Istruzione dovresti licenziare una buona parte di docenti universitari, e non di maestri e presidi della scuola elementare. Vogliamo parlarne?

Buon anno scolastico, cara Mariastella.

martedì 8 settembre 2009

I compiti delle vacanze


Ci sono bimbi che, appena finita la scuola, si sono messi a fare due schede al giorno e a leggere i libri che le maestre hanno assegnato.
Ci sono bimbi che hanno imparato a scrivere in corsivo.
Ci sono bimbi che hanno letto dieci, venti, trenta libri.

E poi c'è il piccolo ingegnere.
Lasciato allo stato brado per tre mesi, da una madre che francamente non c'aveva voglia: 130 schede, raccolte sotto l'accattivante titolo estivo "Fragola e Limone", a parer mio equivalgono ad un omicidio premeditato di minore (non so se la minore età costituisca un'aggravante, comunque).
Autorizzato a leggere solo quello che gli andava: Topolino, per lo più, Star Wars e qualche fumetto di Batman, previo nulla osta dell'ingegnere. Un solo libro di Kattivik, letto a fatica. Scartati tutti i libri che non contenessero figure, ad alleviare la pena di tutte quelle parole messe insieme. Perfino quelli di Scooby Doo.
Improvissamente ripiombato, in questa mattinata di settembre con la piccoletta all'asilo, nella cruda realtà: dopo il confronto con le altre mamme, anche la sottoscritta ha assunto un atteggiamento un poco più intransigente.

In un'ora abbiamo fatto due schede di matematica.
Abbiamo disegnato dieci fulmini, che sennò i bimbi faticano, a contare fino a 10.
Abbiamo raggruppato decine di fiori, limoni, pesciolini, e disegnato le palline delle decine e delle unità sull'abaco.
Ho iniziato a spazientirmi.
Sentivo le energie che improvvisamente mi abbandonavano.
Abbiamo attaccato con una scheda di italiano: bisognava scrivere in stampatello minuscolo.
"Mamma, ho mal di pancia"
Oddio, gli ho fatto venire l'ansia e adesso ha le coliche.
"Mamma... mi scappa la cacca"
E così, finalmente, il piccolo ha trovato una via di scampo.
La mattinata si chiude quindi con un bilancio positivo: abbiamo trovato il rimedio più efficace contro la stitichezza del nano.

venerdì 4 settembre 2009

Cenerentola vs. Star Wars: chi fa più paura?


Esterno giorno, mentre veniamo via dalla spiaggia.
"Papi, ma SE LA MAMMA MUORE, tu non ti risposi, vero?"

La piccoletta è cresciuta a pane e Star Wars.
Prima delle vacanze, al fine di darle un'educazione più consona al suo status e alla sua età, le ho letto un paio di volte Cenerentola.
Ma forse è meglio tornare ad Anakin e compagnia bella.

mercoledì 2 settembre 2009

The Honest Scrap Award



NonhoValentina mi ha passato il testimone dell'Honest Scrap Award, lanciato da Mamma Cattiva, e con molta gioia lo rilancio. Ho dovuto pensarci un po' su, perché in questo momento di caos i neuroni, evidentemente, sono ancora in vacanza. Ma ecco 10 cose di me.

  1. Sono un'instabile: se penso a me 10 anni fa, stento a riconoscermi. Ho cambiato idea su tutto, o quasi.

  2. Sono un'intollerante: le mie intolleranze alimentari includono quasi tutto ciò che si mangia, dallo zucchero bianco, al frumento, al vino (sic).

  3. Mai avuto l'istinto materno. Mai sdilinquita davanti a un neonato, neanche da mamma.

  4. Sempre avuto un diario. La mia Smemoranda dell'ultimo anno del liceo è durata 15 anni, dovrei buttarla. Non ne ho il coraggio.

  5. Mai pensato di aprire un blog.

  6. Sempre pensato che il cielo stellato è ordinato. Parlatene con un ingegnere: vi dirà che è disordinato e inizierà a fare strani discorsi sull'entropia dell'universo.

  7. Mi rilassa guardare il mare.

  8. Mi stressano le vacanze estive a Milano con i bambini e io che dovrei lavorare a casa.

  9. Da quando sono mamma, mi sento sempre un po' in colpa: capisco di aver commesso molti sbagli, e di commetterne in continuazione.

  10. Da quando sono mamma, ho capito che non si può sempre dare la colpa di tutto alla mamma: per quanto pessima possa essere stata la tua mamma, ha fatto quello che ha potuto.


Ora, il passaggio di testimone:
a Lanterna de Il mignolo con il Prof
a Maq di Io sono leggendo
a Manager di Me Stessa
al Presti di Le vie del Prestipino
a Mi sono pensata addosso
a MammacheFatica!