martedì 3 marzo 2009

L'etica della fatica


Siamo in montagna.
(Nevica, se volete sapere che tempo fa)
Il piccolo ingegnere e la piccoletta vanno a scuola di sci.

Adesso faccio un po' la vecchia nonna rompipalle, che mi si addice (che ruolo divertente, non vedo l'ora!!)

Le scuole di sci dei miei tempi volevano anche dire ore e ore di salite a scaletta, se non sapevi prendere lo skilift, e immani traversate con scarponi ai piedi e sci in spalla, per raggiungere un altro impianto, se dovevi prendere un altro impianto. I maestri di sci ci guardavano con quell’aria un po’ da compatimento, come per dire che noi, quelli che venivano dalla città, in fondo non c’avevamo il fisico e un po’ di sana fatica non poteva che farci bene. Così imparavamo (quantomeno, ad avere l’ardire di voler imparare a sciare).

Oggigiorno, i bimbi hanno il pirulàn, come lo chiama la piccoletta (tapis roulant, nell'accezione comune) e la scaletta manco sanno cosa sia, e per di più i maestri si sono dotati di un carretto sul quale caricano gli sci dei bambini, affinché i pupi possano scorazzare senza troppa fatica fino all’altro impianto.

Da vecchia nonna rompipalle, non posso fare a meno di pensare che ai miei vecchi tempi ci insegnavano l’etica della fatica, e la disciplina della sofferenza, ed era un gran insegnamento, anche se le bambine lagnine come me stramaledicevano l’etica della fatica e tutte quelle menate.

C’è da dire. Che l'etica della fatica si è tramutata in etica della sfida, la voglia di puntare alto con i bambini, di mettere alla prova le loro capacità, e di insegnare a vincere. Il piccolo ingegnere, al primo giorno di lezione è stato spedito a fare la “seggiovia lunga”, come la chiama lui. È arrivato che si sentiva il re delle nevi. E la piccoletta, accolta in lacrime dalla maestra, oggi è uscita dal recinto del pirulàn e ha fatto il primo skilift con il maestro (nel senso letterale del termine, è salita sullo skilift con il maestro). È arrivata “felice come un maiale”, come continuava a ripetere (l’ingegnere ed io continuiamo a chiederle perché i maiali sono felici, ma attendiamo ancora delucidazioni).

Non posso fare a meno di fare un paragone con la piscina. A parte il fatto che l’acqua non è sicuramente l’elemento dei miei figli (e la montagna sì, e questo fa una gran differenza, ma comunque), la piscina dei piccoletti è, per me, l’esempio più devastante di "downgrading sportivo" venduto come sana pedagogia dello sport.

In piscina troneggiano cartelli con pillole di saggezza rivolte ai genitori: i bambini prima di tutto si devono divertire, non fate commenti su come i vostri figli hanno nuotato, non sostituitevi al maestro, e via di questo passo. All’inizio, ero entusiasta di questi cartelli. Finalmente un’etica dello sport, dicevo io (ingenua).

Il piccolo ingegnere ha passato due anni e mezzo a raccogliere fiorellini sul fondo della piscina piccola. Quando l’ho iscritto, a settembre, (perché anch’io sono gnucca, e lascio sempre un'altra possibilità), ho chiesto (ingenua, e gnucca):
“Beh, quest’anno gli insegniamo a nuotare?”
“Quest’anno farà ambientamento in piscina grande”
Ambientamento?!?

Il problema è: si divertono, questi bambini? O imparano che non ne vale la pena, in fondo?

La maestra di nuoto del piccolo ingegnere, ogni volta, chiede ai bimbi se “se la sentono” di entrare in piscina senza niente, o “se preferiscono mettere la cintura galleggiante”. Figuriamoci, il piccolo ingegnere che si dibatte tra l’etica del dovere e quella del minimo sforzo. La piccoletta ogni volta mi chiede di dire alla maestra “di non farle fare cose troppo difficili”. Cioè, raccogliere i fiorellini sul fondo della piscina.

Indovinate un po’. Andare in piscina è la peggior tortura che questa madre sciamannata sta infliggendo ai propri figli

2 commenti:

Anonimo ha detto...

come ex insegnante di nuoto inorridisco di fronte alla cintura galleggiante.
;-)

invidio di fronte alla montagna
buone vacanze
panz

ivan prestipino ha detto...

il nuoto in piscina è artificiale-neutro..... i bimbi devono imparare al mare....