In questo bel weekend romagnolo ho letto un romanzo che mi ha molto affascinato e mi ha coinvolto emotivamente: Il papà di Giovanna, di Pupi Avati, una sorta di sceneggiatura dell'omonimo film che, a questo punto, voglio assolutamente vedere!
1938. Michele Casali è professore di disegno in un liceo classico bolognese, Giovanna è la sua figlia un po' strana, Delia la moglie che non lo ama. Giovanna uccide Marcella, esponente di una delle famiglie più nobili e benestanti della città, per gelosia. Per salvarla dal carcere, le danno l'infermità mentale (e in effetti, molto lucida non appare). Viene così rinchiusa nel manicomio di Reggio Emilia, da dove uscirà solo alla fine della guerra.
A questo punto inizia un sottile gioco di specchi e rimandi: il padre ha nutrito ambizioni esagerate nei confronti della figlia, illudendola di essere come tutte le altre? Sì, indubbiamente. Ma si scopre che la causa della nevrosi della ragazza è la madre, bellissima e non-accudente, innamorata del vicino di casa (nonché amico di Michele, testimone di nozze e padrino della figlia).
... Sempre colpa della mamma, comunque.
Giovanna, come in Shakespeare, è il pazzo che vede e dice la verità nascosta agli occhi e sulle bocche di tutti.
Michele è una figura tragica e ingenua, ma capace di un amore e di una dedizione assoluti nei confronti della figlia, che chiede sempre della madre (mai più vista, da quando è stata rinchiusa nel manicomio). Dalia è una donna incapace di affrontare la figlia malata, alla ricerca perenne di una propria felicità.
1953. Michele e Giovanna, tornati a Bologna, vanno al cinema insieme. All'entrata vedono una donna, in compagnia di un signore molto elegante, inconfutabilmente Delia. Giovanna, a metà del primo tempo, si alza a va a cercare la madre nel palco riservato, da dove viene prontamente allontanata. Mentre sta per andarsene con Michele, Delia li raggiunge. Giovanna le dice (finalmente) che lei non ha bisogno della madre. Le due si sorridono.
Così termina il romanzo, non so come si concluda il film.
Ho terminato la lettura in corsa, con il cuore in gola, e sono rimasta sospesa.
Lì, come una scema, a chiedermi: "... e quindi?"
C'è futuro o non c'è?
C'è guarigione?
C'è una madre, finalmente?
Amo i finali sospesi. Ma questo, davvero, non l'ho capito.
1938. Michele Casali è professore di disegno in un liceo classico bolognese, Giovanna è la sua figlia un po' strana, Delia la moglie che non lo ama. Giovanna uccide Marcella, esponente di una delle famiglie più nobili e benestanti della città, per gelosia. Per salvarla dal carcere, le danno l'infermità mentale (e in effetti, molto lucida non appare). Viene così rinchiusa nel manicomio di Reggio Emilia, da dove uscirà solo alla fine della guerra.
A questo punto inizia un sottile gioco di specchi e rimandi: il padre ha nutrito ambizioni esagerate nei confronti della figlia, illudendola di essere come tutte le altre? Sì, indubbiamente. Ma si scopre che la causa della nevrosi della ragazza è la madre, bellissima e non-accudente, innamorata del vicino di casa (nonché amico di Michele, testimone di nozze e padrino della figlia).
... Sempre colpa della mamma, comunque.
Giovanna, come in Shakespeare, è il pazzo che vede e dice la verità nascosta agli occhi e sulle bocche di tutti.
Michele è una figura tragica e ingenua, ma capace di un amore e di una dedizione assoluti nei confronti della figlia, che chiede sempre della madre (mai più vista, da quando è stata rinchiusa nel manicomio). Dalia è una donna incapace di affrontare la figlia malata, alla ricerca perenne di una propria felicità.
1953. Michele e Giovanna, tornati a Bologna, vanno al cinema insieme. All'entrata vedono una donna, in compagnia di un signore molto elegante, inconfutabilmente Delia. Giovanna, a metà del primo tempo, si alza a va a cercare la madre nel palco riservato, da dove viene prontamente allontanata. Mentre sta per andarsene con Michele, Delia li raggiunge. Giovanna le dice (finalmente) che lei non ha bisogno della madre. Le due si sorridono.
Così termina il romanzo, non so come si concluda il film.
Ho terminato la lettura in corsa, con il cuore in gola, e sono rimasta sospesa.
Lì, come una scema, a chiedermi: "... e quindi?"
C'è futuro o non c'è?
C'è guarigione?
C'è una madre, finalmente?
Amo i finali sospesi. Ma questo, davvero, non l'ho capito.
2 commenti:
non ho letto il libro e non ho visto il film, quindi mi baso solo su cio' che dici qui. Io direi che il futuro c'e' ma non e' insieme, la figlia non ha bisogno della madre, la madre puo' lasciare andare finalmente la figlia senza sentirsi intrappolata in questa relazione che non sente sua, ed entrambe sorridono perche' sono riuscite a fare un passo in avanti verso la propria felicita'.... quindi si, c'e' futuro, ma in modo non convenzionale, non c'e' guarigione perche' forse non c'e' malattia, e non c'e' una madre perche' non e' detto che il famigerato istinto materno debba esistere per tutte! Ha senso?
Sì, ha senso, in fondo è in parte quello che ho pensato io. Ma allora perché legare malattia e figura materna?
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