Ok, basta. Inizio ad annoiarmi da sola ma questa la devo scrivere, a conclusione della riflessione. Il prossimo post sarà una solenne cazzata, perché tutta questa seriosità a Novembre è devastante, anche se ho ben poche cazzate nel taschino, ultimamente. Comunque.
Paola propone di estendere il part-time per legge alle madri lavoratrici, con incentivi di varia natura. Come per la Legge 53 (nella quale peraltro sono stanziati fondi per la flessibilità che sono sempre stati allocati con estrema difficoltà), a parer mio questa cosa rischia di essere un boomerang: come fai ad "obbligare" un'azienda a concedere il part-time alle donne? (è una domanda vera, eh, me lo chiedo sul serio).
Tempo fa feci una ricerca sulla conciliazione famiglia-lavoro in alcune Grandi Aziende della Ricca Città del Nord. Interviste in profondità.
Intervistai alcune madri rientrate dalla maternità: facevano part-time, benedicendo il Cielo di questa portentosa opportunità concessa loro. Una di loro lavorava abitualmente anche da casa, la sera, quando il figlio dormiva: si portava avanti leggendo le email, così il giorno dopo arrivava in ufficio sapendo già cosa doveva fare. In azienda nessuno sapeva che lei lavorava anche di sera: perché se dici telelavoro hai detto quasi una parolaccia, perché è sconveniente farlo sapere, perché temeva che le togliessero il part-time...
Intervistai un sindacalista, perché quando vai nelle aziende a fare queste cose un sindacalista e un Grande Manager che deve controllare quello che chiedi ai dipendenti, te lo ritrovi sempre tra i piedi - e raramente hanno qualche esperienza di conciliazione da raccontarti. Chiesi al sindacalista: "Ma secondo lei il 3% di part-time fissato dal contratto nazionale è sufficiente?" "Certo, mi rispose lui. In fondo, in un team di 10 persone si tratta di 3 o 4 persone, mi sembra più che sufficiente". Al sindacalista avrei voluto rispondere che 3 o 4 persone in un team di 10 fanno il 30%, di part-time, ma non ero lì per far polemiche.
Poi uscii a pranzo con una cara amica single e senza figli, che passò mezz'ora buona a lamentarsi delle colleghe madri: tutte con il part-time, nessuna che poteva fermarsi a fare turni serali (forniscono un servizio fino alle 22, mi sembra), che stavano a casa quando i figli erano malati, quando c'era sciopero, quando nevicava...
Poi intervistai il giovane padre di famiglia. Il quale, ad un certo punto, si scagliò contro le donne che facevano ancora il part-time, pur avendo figli grandicelli. Erano atteggiamenti assistenzialistici che mortificavano le donne e non permettevano alle donne con figli piccoli (nella fattispecie, sua moglie) di ottenere il part-time.
Poi intervistai la giovane mamma che faceva part-time: e mi disse che in effetti era un problema, avere un part-time così rigido, c'erano giorni in cui doveva uscire pur non avendo finito il lavoro, e giorni in cui era in ufficio a far nulla.
Poi intervistai un uomo di 50 anni che aveva chiesto una specie di part-time verticale, per dedicarsi alla Grande Causa Umanitaria. Dopo un lungo sproloquio sul fatto che nel suo lavoro non è importante la quantità di tempo che si sta in ufficio, ma la capacità di creare, e quella non dipende dalle ore che si sta in azienda. Che potersi dedicare alla Grande Causa Umanitaria lo rendeva più contento e più attivo sul lavoro, anche se stava in ufficio meno ore. Alla fine dell'intervista (che le cose più interessanti vengono sempre fuori all'ultimo) mi raccontò che una sua collaboratrice, con un bimbo piccolo, aveva chiesto il part-time. Non le era stato concesso, e lei aveva traslocato in un'altra azienda più family-friendly, diciamo così. Lui rimpiangeva (a parole) la collaboratrice, ma mi guardò dicendo: "Ma capisce?!? Aveva chiesto il part-time PER SEMPRE!!!".
Vi lascio a riflettere sul per sempre, e sul fatto che siamo davvero il Paese dei 100 campanili dove il mio part-time vale sempre e comunque più del tuo, e dove non esiste una cultura condivisa sulle politiche di conciliazione. E (ma questo non lo dico io) qui si continua a ragionare in termini di tempo, e non di obiettivi.
Paola propone di estendere il part-time per legge alle madri lavoratrici, con incentivi di varia natura. Come per la Legge 53 (nella quale peraltro sono stanziati fondi per la flessibilità che sono sempre stati allocati con estrema difficoltà), a parer mio questa cosa rischia di essere un boomerang: come fai ad "obbligare" un'azienda a concedere il part-time alle donne? (è una domanda vera, eh, me lo chiedo sul serio).
Tempo fa feci una ricerca sulla conciliazione famiglia-lavoro in alcune Grandi Aziende della Ricca Città del Nord. Interviste in profondità.
Intervistai alcune madri rientrate dalla maternità: facevano part-time, benedicendo il Cielo di questa portentosa opportunità concessa loro. Una di loro lavorava abitualmente anche da casa, la sera, quando il figlio dormiva: si portava avanti leggendo le email, così il giorno dopo arrivava in ufficio sapendo già cosa doveva fare. In azienda nessuno sapeva che lei lavorava anche di sera: perché se dici telelavoro hai detto quasi una parolaccia, perché è sconveniente farlo sapere, perché temeva che le togliessero il part-time...
Intervistai un sindacalista, perché quando vai nelle aziende a fare queste cose un sindacalista e un Grande Manager che deve controllare quello che chiedi ai dipendenti, te lo ritrovi sempre tra i piedi - e raramente hanno qualche esperienza di conciliazione da raccontarti. Chiesi al sindacalista: "Ma secondo lei il 3% di part-time fissato dal contratto nazionale è sufficiente?" "Certo, mi rispose lui. In fondo, in un team di 10 persone si tratta di 3 o 4 persone, mi sembra più che sufficiente". Al sindacalista avrei voluto rispondere che 3 o 4 persone in un team di 10 fanno il 30%, di part-time, ma non ero lì per far polemiche.
Poi uscii a pranzo con una cara amica single e senza figli, che passò mezz'ora buona a lamentarsi delle colleghe madri: tutte con il part-time, nessuna che poteva fermarsi a fare turni serali (forniscono un servizio fino alle 22, mi sembra), che stavano a casa quando i figli erano malati, quando c'era sciopero, quando nevicava...
Poi intervistai il giovane padre di famiglia. Il quale, ad un certo punto, si scagliò contro le donne che facevano ancora il part-time, pur avendo figli grandicelli. Erano atteggiamenti assistenzialistici che mortificavano le donne e non permettevano alle donne con figli piccoli (nella fattispecie, sua moglie) di ottenere il part-time.
Poi intervistai la giovane mamma che faceva part-time: e mi disse che in effetti era un problema, avere un part-time così rigido, c'erano giorni in cui doveva uscire pur non avendo finito il lavoro, e giorni in cui era in ufficio a far nulla.
Poi intervistai un uomo di 50 anni che aveva chiesto una specie di part-time verticale, per dedicarsi alla Grande Causa Umanitaria. Dopo un lungo sproloquio sul fatto che nel suo lavoro non è importante la quantità di tempo che si sta in ufficio, ma la capacità di creare, e quella non dipende dalle ore che si sta in azienda. Che potersi dedicare alla Grande Causa Umanitaria lo rendeva più contento e più attivo sul lavoro, anche se stava in ufficio meno ore. Alla fine dell'intervista (che le cose più interessanti vengono sempre fuori all'ultimo) mi raccontò che una sua collaboratrice, con un bimbo piccolo, aveva chiesto il part-time. Non le era stato concesso, e lei aveva traslocato in un'altra azienda più family-friendly, diciamo così. Lui rimpiangeva (a parole) la collaboratrice, ma mi guardò dicendo: "Ma capisce?!? Aveva chiesto il part-time PER SEMPRE!!!".
Vi lascio a riflettere sul per sempre, e sul fatto che siamo davvero il Paese dei 100 campanili dove il mio part-time vale sempre e comunque più del tuo, e dove non esiste una cultura condivisa sulle politiche di conciliazione. E (ma questo non lo dico io) qui si continua a ragionare in termini di tempo, e non di obiettivi.