Continuare ad essere malata in tempi non sospetti (e soprattutto durante weekend in cui si potrebbe fare di tutto, a parte stare in casa) mi permette di:
a. dormire sonoramente per tre ore filate nel pomeriggio, senza neanche accorgermi che la truppa nel frattempo è uscita e rientrata;
b. lasciare bimbi e Ing. in santa pace in casa senza doverli coinvolgere in fantasmagorici giri metropolitani o in esorbitanti iniziative (in questo preciso istante sono intenti a seminare basilico e nonsoche nel bagno di casa);
c. sorbirmi una serie di film o programmi in streaming che altrimenti non avrei avuto il tempo di vedere.
E così mi è capitato tra le mani un film che francamente, in tempi non sospetti, avrei buttato direttamente giù dalla finestra (ma d'altronde la mia metamorfosi cinematografica è stata definitivamente consacrata con la scelta di andare a vedere Checco Zalone, invece di Clint Eastwood, nell'unico sabato con uscita-cinema-da-grandi a disposizione. Al che l'Ing. ha forse iniziato a rimpiangere i bei tempi in cui lo sottoponevo alle visioni di tremendi mattoni cinematografici iraniani). A mio ulteriore discredito posso dire che il film in questione stava tra Bastardi senza Gloria e The Dark Knight. Ma capite anche voi che, se una continua ad ammalarsi, un motivo ci sarà e di certo né Tarantino né Christopher Nolan contribuiscono ad aumentare le difese immunitarie.
E così ho infilato nel lettore DVD Come tu mi vuoi, che mi ricorda il titolo di una canzone - ma non so quale. Ho scoperto un film con Nicolas Vaporidis e Cristiana Capotondi, alla quale tocca in sorte il ruolo di bruttona intellettuale. Giada (interpretato dalla Capotondi, brava) è studentessa in sociologia con il pallino della comunicazione di massa e la mercificazione del corpo femminile. E' brutta, piena di brufoli, con i baffi, e sciatta. Insomma, il perfetto stereotipo della secchiona intellettuale. Messa alle strette dalla crisi economica, inizia a lavorare e a dare ripetizioni a Riccardo (N. Vaporidis), incarnazione di quel mondo che Giada disprezza e critica. La tesi di Fiamma, amica di Riccardo, è che anche l'integerrima Giada, se potesse appartenere al quel mondo, non lo disprezzerebbe affatto.
E' un film-favola (la trasformazione da brutto anatroccolo a meravigliosa creatura), ma è anche un film che vuole far riflettere (sena riuscire a dare una propria chiave di lettura) sull'importanza dell'immagine e sull'uso che le donne possono e devono fare del proprio corpo, in uno strano mix on/off di stereotipi e di superamento degli stereotipi.
Ok, siamo stufe dello stereotipo vetero-femminista che vuole le donne impegnate, intelligenti, e brutte. Vero è, comunque, che se una passa la vita a studiare non sarà mai 'sto gran pezzo di gnocca... Se non altro perché non le interessa. E' un male? E' un bene? Ma essere socialmente allettanti è un aiuto anche per la carriera. Ma ancora: dove sta il sottile limite tra "stare bene con se stessi" e "essere socialmente accettabili?"
Viene però fuori, e bene, la pressione sociale che ci vuole in un determinato modo. Questo mi sembra uno degli aspetti più interessanti del film, ossia: quanto una persona è disposta a rinunciare ai propri principi per conformarsi a ciò che la circonda, o per inseguire l'amore (o presunto tale)? E soprattutto: in un mondo nel quale la comunicazione è basata sull'immagine, non è parossistico presentare modelli "brutti da vedere"? Come se ne esce?
Mi rendo conto che tutte queste possono essere bollate come questioni adolescenziali (e in effetti credo che il target sia proprio quello), ma se mia figlia adolescente prendesse questo film come modello non ne sarei molto contenta, in effetti: la conclusione è un po' troppo semplicistica e il paradigma vincente è (appunto) quello della bellezza, con la quale si conquista l'accettazione sociale e l'amore. E tuttavia mi rendo conto che non sono affatto questioni adolescenziali, ma sono questioni con le quali molte donne si scontrano (ci scontriamo, inutile far finta di essere superiore, questo film ha intercettato una serie di pensieri di questi ultimi mesi) tutti i giorni.
L'inevitabile gap tra l'immagine che uno ha di sé è quello che viene restituito dall'esterno, a pezzi e puzzle, è un interrogativo che a tratti riaffiora in modo potente nella mia vita. Negli anni, ho imparato con molta fatica a non preoccuparmi di "quello che dice la gente", tanto che mi sono accorta in alcuni momenti di sembrare molto superiore a tutto, mentre in effetti non lo sono affatto (c'è da dire che in questo senso mettersi a scrivere un blog è una terapia potente). Ho sempre grandemente apprezzato quelle donne che "se ne fregano", che sanno essere autenticamente al di sopra di convenzioni e schemi, sulle quali moda e firme non hanno nessun tipo di appeal ma che hanno un loro inconfondibile stile - e ho sempre grandemente invidiato quelle donne che hanno sempre la borsa all'ultima moda e quei meravigliosi sandali da 400 euro che io non posso permettermi (e che anche se potessi, probabilmente spenderei in altro modo).
Probabilmente la soluzione sta proprio lì, nel trovare quello che ci sta addosso veramente sapendo che è importante ma che non è tutto. Per quanto mi riguarda, in questo preciso istante, la soluzione sta nel riappropriarmi della capacità di fare shopping per me stessa senza finire da H&M o da Zara, raccogliendo pantaloni e camicie senza neanche provarli, per un totale di 30 minuti netti.
P.S. Vi segnalo una scena topica, però: quando appendono davanti alla camera di Giada una mega affissione con un sedere gigante di donna, pubblicità per una marca di slip (vi ricorda qualcosa?)
P.P.S. La canzone è quella di Mina, comunque
b. lasciare bimbi e Ing. in santa pace in casa senza doverli coinvolgere in fantasmagorici giri metropolitani o in esorbitanti iniziative (in questo preciso istante sono intenti a seminare basilico e nonsoche nel bagno di casa);
c. sorbirmi una serie di film o programmi in streaming che altrimenti non avrei avuto il tempo di vedere.
E così mi è capitato tra le mani un film che francamente, in tempi non sospetti, avrei buttato direttamente giù dalla finestra (ma d'altronde la mia metamorfosi cinematografica è stata definitivamente consacrata con la scelta di andare a vedere Checco Zalone, invece di Clint Eastwood, nell'unico sabato con uscita-cinema-da-grandi a disposizione. Al che l'Ing. ha forse iniziato a rimpiangere i bei tempi in cui lo sottoponevo alle visioni di tremendi mattoni cinematografici iraniani). A mio ulteriore discredito posso dire che il film in questione stava tra Bastardi senza Gloria e The Dark Knight. Ma capite anche voi che, se una continua ad ammalarsi, un motivo ci sarà e di certo né Tarantino né Christopher Nolan contribuiscono ad aumentare le difese immunitarie.
E così ho infilato nel lettore DVD Come tu mi vuoi, che mi ricorda il titolo di una canzone - ma non so quale. Ho scoperto un film con Nicolas Vaporidis e Cristiana Capotondi, alla quale tocca in sorte il ruolo di bruttona intellettuale. Giada (interpretato dalla Capotondi, brava) è studentessa in sociologia con il pallino della comunicazione di massa e la mercificazione del corpo femminile. E' brutta, piena di brufoli, con i baffi, e sciatta. Insomma, il perfetto stereotipo della secchiona intellettuale. Messa alle strette dalla crisi economica, inizia a lavorare e a dare ripetizioni a Riccardo (N. Vaporidis), incarnazione di quel mondo che Giada disprezza e critica. La tesi di Fiamma, amica di Riccardo, è che anche l'integerrima Giada, se potesse appartenere al quel mondo, non lo disprezzerebbe affatto.
E' un film-favola (la trasformazione da brutto anatroccolo a meravigliosa creatura), ma è anche un film che vuole far riflettere (sena riuscire a dare una propria chiave di lettura) sull'importanza dell'immagine e sull'uso che le donne possono e devono fare del proprio corpo, in uno strano mix on/off di stereotipi e di superamento degli stereotipi.
Ok, siamo stufe dello stereotipo vetero-femminista che vuole le donne impegnate, intelligenti, e brutte. Vero è, comunque, che se una passa la vita a studiare non sarà mai 'sto gran pezzo di gnocca... Se non altro perché non le interessa. E' un male? E' un bene? Ma essere socialmente allettanti è un aiuto anche per la carriera. Ma ancora: dove sta il sottile limite tra "stare bene con se stessi" e "essere socialmente accettabili?"
Viene però fuori, e bene, la pressione sociale che ci vuole in un determinato modo. Questo mi sembra uno degli aspetti più interessanti del film, ossia: quanto una persona è disposta a rinunciare ai propri principi per conformarsi a ciò che la circonda, o per inseguire l'amore (o presunto tale)? E soprattutto: in un mondo nel quale la comunicazione è basata sull'immagine, non è parossistico presentare modelli "brutti da vedere"? Come se ne esce?
Mi rendo conto che tutte queste possono essere bollate come questioni adolescenziali (e in effetti credo che il target sia proprio quello), ma se mia figlia adolescente prendesse questo film come modello non ne sarei molto contenta, in effetti: la conclusione è un po' troppo semplicistica e il paradigma vincente è (appunto) quello della bellezza, con la quale si conquista l'accettazione sociale e l'amore. E tuttavia mi rendo conto che non sono affatto questioni adolescenziali, ma sono questioni con le quali molte donne si scontrano (ci scontriamo, inutile far finta di essere superiore, questo film ha intercettato una serie di pensieri di questi ultimi mesi) tutti i giorni.
L'inevitabile gap tra l'immagine che uno ha di sé è quello che viene restituito dall'esterno, a pezzi e puzzle, è un interrogativo che a tratti riaffiora in modo potente nella mia vita. Negli anni, ho imparato con molta fatica a non preoccuparmi di "quello che dice la gente", tanto che mi sono accorta in alcuni momenti di sembrare molto superiore a tutto, mentre in effetti non lo sono affatto (c'è da dire che in questo senso mettersi a scrivere un blog è una terapia potente). Ho sempre grandemente apprezzato quelle donne che "se ne fregano", che sanno essere autenticamente al di sopra di convenzioni e schemi, sulle quali moda e firme non hanno nessun tipo di appeal ma che hanno un loro inconfondibile stile - e ho sempre grandemente invidiato quelle donne che hanno sempre la borsa all'ultima moda e quei meravigliosi sandali da 400 euro che io non posso permettermi (e che anche se potessi, probabilmente spenderei in altro modo).
Probabilmente la soluzione sta proprio lì, nel trovare quello che ci sta addosso veramente sapendo che è importante ma che non è tutto. Per quanto mi riguarda, in questo preciso istante, la soluzione sta nel riappropriarmi della capacità di fare shopping per me stessa senza finire da H&M o da Zara, raccogliendo pantaloni e camicie senza neanche provarli, per un totale di 30 minuti netti.
P.S. Vi segnalo una scena topica, però: quando appendono davanti alla camera di Giada una mega affissione con un sedere gigante di donna, pubblicità per una marca di slip (vi ricorda qualcosa?)
P.P.S. La canzone è quella di Mina, comunque
8 commenti:
l'ho visto questo film, anche se nn ricordavo il titolo ma appena hai cominciato a raccontare la trama me lo sono ricordato.
che dire? la penso come te, avevo fatto le stesse riflessioni quando avevo visto il film.
a parte la banalità di certe situazioni e semplificazioni ( si può essere belle anche senza x forza essere chiatte)ci sono alcuni spunti interessanti.
certo che avere una figlia di 18 anni in questi anni è dura, che razza di modelli hanno?
Vero? Ho pensato anche io che la pressione e le regole dell'apparenza stanno diventando molto strict, e mi chiedevo quali conseguenze hanno sugli adolescenti... .
Accidenti, tema mica da poco.
Il mio personale paradosso è che spesso, in alcuni ambienti, mi ritrovo ad essere quella "esteriore", pur non essendo assolutamente alla moda. La cosa che mi fa più arrabbiare è che si prenda a paradigma di vuota esteriorità il fatto che una persona si prenda cura del proprio corpo. E invece per i nostri antenati romani la cura del corpo andava di pari passo con la mente: quando smetteremo di pensare alla dicotomia medievale brutto intelligente / bello stupido. Perché non riusciamo più a interiorizzare il binomio kalòs kai agathòs (bello e buono)? È così difficile pensare di valorizzare tutto quello che abbiamo di buono, corpo e mente?
PS: Bastardi senza gloria mi è proprio piaciuto, The Dark Knight l'ho trovato un po' troppo ricco, troppa carne al fuoco.
Difficile fregarsene di quello che dicono gli altri. Poi noi donne siamo le specialiste dell'autolesionismo.
Il tuo post mi fa ricordare un aneddoto della mia adolescenza. Dico ad un'amica fighetta: "Quei tizi fighi della 3E mi guardano in modo strano. Ma cosa c'ho?" "Ahahahah, ti guardano perchè sei bella"
Questo per non per tirarmela, ma perchè un'adolescente proprio non ha coscienza di se stessa e io mi vedevo goffa e non interessante.
Cmq, condivido le preoccupazioni, ma per riderci un po' sopra vi ricordo una delle famose frasi fatte quando vedi un belloccio con una bruttina:"Chissà lei a letto..."
anche a me è venuta in mente la mia adolescenza, parlo dell'epoca dei paninari. la mia esperienza è stata all'esatto opposto di quella di mdims. e, da talebana quale sono spesso, ho sempre considerato l'apparire come una parte integrante dell'essere, e l'apparire bene come un dovere sociale (che io, peraltro, non soddisfacevo mai). ci ho messo una ventina di anni per venire a patti con questo bubbone, ma onestamente non credo che oggi sia così diverso: l'adolescenza è un'esperienza del tutto personale. per fortuna.
(però, bellissimo tema)
@Lanterna: questo (temo) è una delle grosse pecche del mondo occidentale... Ora che mi fai citazioni dotte, mi viene in mente che la mia tesi di laurea era proprio sull'unità di corpo e anima in un trattato del XII secolo... Il binomio bella/scema è quanto di peggio dobbiamo sopportare, così come il fatto che se parli di argomenti scemi allora sei scema (in termini generazionali, mi sembra più che altro un approccio tardo-adolescenziale e pseudo-intellettualistico). Evviva l'estetista, parliamone!! ;)
@M di Ms: questo tuo ricordo è proprio l'adolescenza... O fasi tardo adolescenziali (per me vale così, in questo periodo, cioè non sono in grado di formulare un giudizio su me stessa, ed è tremendo). E la battuta della bruttona a letto è inclusa nel pacchetto-film, per non smentirsi!!
@Giuliana: spesso mi chiedo quanto influenzi vivere in un determinato contesto, rispetto anche al tuo approccio (che per esempio è l'approccio di mia madre, cioè la filosofia di vita con la quale sono cresciuta e con la quale ancora adesso faccio fatica a venire a patti, neanche io soddisfo mai pienamente questo dovere sociale!). Per di più, con questo approccio al "dover essere", sono cresciuta in un paese, e questo per me per molti anni, soprattutto da piccola, è stata una vera e propria fatica. E' vero, l'adolescenza è un'esperienza del tutto personale, però forse il "non riuscire a vedersi allo specchio" è un tratto tipico... Mah.
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