mercoledì 3 giugno 2009

Mamme e lavoro (e non parlo di me)


Che, quando parlo di me, ormai mi annoio da sola.

Mercoledì mattina, esterno giorno.
9:20. Nel controviale, una stradina corta e alberata, dove passano poche macchine e tante biciclette. Mentre pedalo, sento alle mie spalle una bici in avvicinamento. Qualcuno che va di fretta e vuole superarmi. Mi sposto un po' sulla destra, per far passare. Mi affianca. Ora voglio vedere che faccia ha questo. Mi giro.

"Loooreeee Ciao!"

E' la mia amica-mamma-in-bicicletta, una di quelle rare milanesi possidenti di family bike (non so se vi è capitato di vederle, sono delle bici speciali con il seggiolino davanti "incorporato" nel manubrio; una vera chicca, dato che non le fanno più)

"Ciao!!"

Come va, come stai, come stanno i bimbi, dove vai. Il lavoro.
Lascio precedenza di parola, e poi non sono io a introdurre l'argomento. Sto diventando bravissima.

"Torno a casa alle 7 di sera, ultimamente, mai prima. Poi la mattina porto i bimbi a scuola, e ci sono tutte le mamme che si mettono d'accordo per vedersi al parco, nel pomeriggio... Due mesi fa se ne sono andate in due dallo studio, e io mi sono presa i loro incarichi. Tutti e due. E quando abbiamo contrattato l'aumento, io pensavo che quello che avessimo deciso fosse il netto. Invece era il lordo".

"... Che quando hai la partita iva, fa una bella differenza", chioso io.

"Appunto. Praticamente, due dita in un occhio. Insomma, ti viene un po' voglia di mandare tutto a ramengo, l'unico particolare è che io non lavoro per hobby..."

No, non farlo, non farlo, tieni duro!! dice la vocina dentro di me. Ma sto imparando l'arte del silenzio.

"Dai, cerca di arrivare alle vacanze, poi ti riposi e a mente lucida ci ripensi a settembre".

Come faccio, io, a dire che no, una mamma che ha un lavoro deve tenerselo stretto? Bisogna ragionare con distacco, su certe cose.

Arriviamo in San Babila, le nostre strade si dividono.

Mercoledì pomeriggio, interno giorno.
15:00. Appena rientrata a casa. Suona il cellulare, il cellulare muore (sto riciclando un cellulare dismesso dalla suocera, per rendere l'idea).
Attacco il cellulare alla presa di corrente, riaccendo, guardo.

Mh.
Numero di cellulare sconosciuto.Richiamo.

"Pronto, sono Lorenza"
"Lore ciao!"
"Ciao...?..."
(Questa scena l'ho già vista...)
"Ciao sono la Eli, ti ricordi di me?!?"

Ohmamma.
La Eli era con me all'Università, non ci vediamo e non ci sentiamo da più di 5 anni. Questo è un vero regalo.
"Ma ciao, tesoro!" (e via di questo passo con le smancerie per le quali sono stata presa per il culo dai miei fratelli per 10 anni suonati)

Dato che il mio mobail non è più mobile, mi accascio suul divano e mi concedo una chiacchierata non-multitasking.

Insomma. La Eli mi ha pensato, mi ha trovato su LinkedIn e ha provato a chiamarmi. Aveva il mio vecchio numero di cellulare (riciclato dal suocero, quello) e, dato che la sottoscritta non ha nessun nuovo numero di nessun cellulare aziendale di nessuna azienda, eccoci qui.

Ci raccontiamo un po': figli cresciuti (un brivido lungo la schiena, a dire che la piccoletta compie 4 anni ad agosto), figli nati, compagni persi e ritrovati di università. E lavoro.

Ma anche questa volta lascio nell'aria la mia frase topica e lascio la parola, sto diventando bravissima!

La Eli lavora in una grossa azienda. Ha avuto la prima figlia, le hanno dato il part-time, ha avuto il secondo bimbo, ed ora ha la riduzione di orario fino al compimento del primo anno del pargolo.
"Poi spero che a settembre mi diano il part-time, sennò non so davvero..."

No, no, non farlo! gridava la mia vocina, ma sono stata zitta, che certe cose non si possono dire così, brutalmente, alla Eli dopo 5 anni che non la senti.

"Sai, non posso pensare di arrivare a casa alle 7 e mezza tutte le sere, come si fa?".
"Ma sai, mia cognata...", e attacco con la storia della cognata-manager, mamma senza rimpianti (ma non auguro a nessuna precaria di avere una cognata-manager in circolazione, sia ben chiaro: è un irrimediabile scacco all'autostima personale, come se non bastasse tutto il resto).

"Sì, però poi ti perdi i momenti più belli" ribatte lei.
"Sai, ti mando un link a un sito molto bello, poi quando ci vediamo ne parliamo, ok?", che non puoi raccontare alla Eli in 5 minuti di Veremamme e delle mamme blogger e di tutto quanto, dopo 5 anni che non la senti.

Seguono accordi-base per vedersi (come siete organizzati, i bimbi a che ora vanno a letto, ma li portate in giro, allora va bene una pizzeria...).
Fine della telefonata.

Sono stremata.
Nel bene, intendiamoci.
Ma questa cosa delle mamme e del lavoro mi uccide ogni volta. Ogni volta mi uccide, sentire che una mamma molla (o pensa anche solo di mollare, per sfinimento e mancanza di riconoscimento) il lavoro. Non ci posso fare niente.
E vorrei solo una cosa. Vorrei che un bel giorno tutti quanti, mamme, manager, direttori del personale, salissero sul palco. E facessero una bella tavola rotonda, ma di quelle politicamente scorrette.

Vorrei che gli uomini (manager, direttori del personale e varia umanità), invece di raccontare le solite manfrine sulla conciliazione e sull'importanza della famiglia (in genere, la loro), dicessero che loro, le mamme che lavorano, non le vogliono. O, meglio: che loro non vogliono lavorare come le donne vorrebbero e potrebbero lavorare. Perché non è vero che è troppo costoso. Semplicemente, esula dai loro schemi (e, forse, dalle loro capacità).

Vorrei che qualcuno dicesse alle mamme che se forse non avessero malattie, aspettative e quant'altro, un sacco di diritti e pochi doveri, allora le mamme lavorerebbero di più.

Vorrei che le mamme decidessero cosa vogliono. Vorrei che le mamme non fossero le sole (e non fossero da sole, soprattutto) a decidere, e si chiedessero, almeno: "Perché io, e non mio marito?" (chiedere il part-time, rinunciare alla carriera, perdersi i momenti preziosi dei figli, e via di questo passo). Perché guadagno meno, perché non ne ho voglia, perché mi hanno sempre detto che deve essere così e io muoio dai sensi di colpa: le risposte le sappiamo.

Vorrei che le mamme che lasciano il lavoro per due anni, poi trovassero un mercato del lavoro che le riconsidera. Invece di trovarsi di fronte il muro del perbenismo italiano, un po' cattolico e molto ipocrita.

... Potrei andare avanti ancora per mezz'ora, ma è davvero tardi. Questo post ce l'ho in testa da una settimana esatta, e finalmente sono riuscita a scriverlo.

9 commenti:

Chiara Trabella ha detto...

Ne parlavo ieri con una mia amica. Anche lei laurea e master (lei, perdipiù, con borsa di studio: era davvero bravissima), anche lei anni di lavoro sul web e anche lei approdata allo Stato. Come insegnante, perché ha potuto fare quel concorso del '99 che io ho saltato perché troppo giovane. E anche lei blogger. Mestamente, ci dicevamo: per una donna con famiglia, oggi, o lo stato o niente che ti permetta di coprire le spese.
E' desolante.

Laura.ddd ha detto...

Hai fatto bene, a scriverlo. Ognuna di noi potrebbe scrivere, non solo la propria storia, il proprio problema, ma la storia e i problemi di molte amiche e conoscenti.
Uscire dall'ipocrisia, questa si' sarebbe la via d'uscita.

lorenza ha detto...

@Lanterna: anch'io ho fatto il concorso del '99. Quando ho detto che scrivevo per un sito web prima mi hanno guardato come se fossi venuta dallo spazio, poi mi hanno bocciato. Ma avevo già capito che insegnare non era mestiere per me!
@Laura: sarebbe bello... uffff...

lorenza ha detto...

@Laura: But I am convinced that in order to move forward, we must say openly the things we hold in our hearts, and that too often are said only behind closed doors. There must be a sustained effort to listen to each other; to learn from each other; to respect one another; and to seek common ground. ... uno stralcio dal discorso di Obama che mi ha fatto pensare al tuo commento!

M di MS ha detto...

Anch'io vorrei scriverti qui molte cose. Ma sono così tante e tante le ho lette e sentite così tante volte che per stasera anche io sto zitta.

lorenza ha detto...

@M di MS: ... io non so più neanche rendermi conto di quanto siano trite e ritrite, oppure no!

chiara ha detto...

Anche io sto imparando con molta fatica a stare zitta e lascir parlare gli altri, me lo ha insegnato una mamma cinese che ha il bambino in classe con il mio.
lei ti si avvicina ti saluta cordiale e con una sorta di domande trabocchetto ti spinge a dirle tutto, ma proprio tutto!
E la stessa mamma mi viene in mente per quel che dici sul problema del lavoro al femminile, credo che lei non si sia scelta davvero nulla , nè l'oraio di lavoro , ha un bar, apre alle 6,00 e esce alle 20,30 ne se sia giusto lasciare i bambini neonati a una tata cinese che si è portata dietro dalla Cina.
Forse le mamme che ti dicono di poter alla leggera lascire il lavoro, sono anche quelle che ne hanno meno bisogno.

acasadiclara ha detto...

non so se lasci il lavoro se ne hai davvero bisogno. oppure forse non ha davvero un'alternativa (ma allora è un altro discorso).
anche io la penso così. però ho i nonni che mi aiutano e il marito che ha vinto il concorso del '99 e adesso insegna. mi ritengo privilegiata e difendo il mio lavoro -che pure è da impiegato medio- a denti stretti.
tuttavia quando riesco ad accompagnare mio figlio alle 9, invece che al prescuola, le mamme dei suoi compagni sono quasi tutte lì. e allora mi sento l'unica che lavora.....

lorenza ha detto...

@chiara: le due mamme di cui parlo sono due persone completamente diverse, e francamente credo che nessuna delle due, alla fine, lascerà il lavoro. sai com'è l'adagio... "tra il dire e il fare..."
@casa di clara: ti rispondo in un post!