A volte uno si sente sfigato, e invece è soltanto un pioniere.
Cristoforo Colombo, quando ha capito di non essere arrivato in Cina, avrà passato almeno cinque minuti della sua vita a dirsi "Belin, che sfiga".
Quando sono rimasta senza lavoro dopo la prima maternità, e pure dopo la seconda, nel vortice di aerosol, pappe e passeggini, ciucci e pannolini, mi sono data ben di più che della sfigata (fate voi le dosi, aggiungete a piacere, che si sa che l'autostima di una donna, italiana per di più, a cavallo del Nuovo Millennio non può certo essere paragonabile a quella di un maschio vissuto nel XV secolo).
Ma ho sempre lavorato. Mi sono ritrovata a seguire un percorso lavorativo a tornanti, con una collaborazione libera dal sacro vincolo dell'orario d'ufficio. E mentre tutti avevano giorni lavorativi, e ferie, e tredicesime, io avevo una scrivania mobile (prima in camera, poi in ingresso, infine in soggiorno, con una geografia variabile come i cambiamenti delle stanze di casa), contratti sempre diversi, un'identità indefinita.
Una che metteva insieme tutto: casa, lavoro, pomeriggi con i figli, serate a lavorare.
Precaria, libera professionista, cosa sarò? Boh. Forse, solo un casino.
Mentre macinavo chilometri, ricevute dell'asilo nido, tate peggio di mine vaganti, lavatrici, pomeriggi al parco, cene preparate a scapicollo, intorno a me vedevo un mondo che era solo un aut aut: placide madri di famiglia dedite esclusivamente ai loro pargoli, e impareggiabili madri-manager con un lavoro full-time, nonni full-time e Tata for Dummies in tasca.
Non è stato facile, per tanti motivi, ma (mi rendo conto ora) anche perché ero sola.
Poi sono successe delle cose. E, in ordine cronologico:
1. Ho aperto un blog. E ho scoperto che l'Italia è piena di imprenditrici e libere professioniste che a) sono state cacciate dal loro posto di lavoro dopo la maternità; b) hanno lasciato per esasperazione il loro posto di lavoro dopo la maternità; c) si sono rotte del lavoro che facevano e hanno lasciato il loro posto di lavoro investendo tempo e vita in altro.
Beninteso, per me una donna che sceglie di lasciare un'azienda, anche per i più sacrosanti motivi, è sempre una sconfitta. Ma di questo ne parliamo un'altra volta.
2. E' iniziata la crisi. E adesso ci sentiamo tutti precari (tiè).
Anche se, non dimentichiamocelo, continua a esserci una buona differenza retributiva tra sentirsi precario ed essere precario.
3. A Milano hanno iniziato a nascere gli spazi di co-working.
Non ci sono mai andata. Il primo era troppo scomodo per me, il secondo troppo macchinoso, il terzo è stato avviato in un anno che è stato un bagno di sangue, e ancora adesso mi chiedo come ho fatto a pagare le tasse, quell'anno lì.
Poi è nato Piano_C, che è un co-working per le mamme - per le donne (e per i papà accompagnati dai bambini). E' un luogo con 12 postazioni di lavoro e sale riunioni che propone uno spazio e servizi di accudimento per bambini 0-3 (non è un asilo nido, non è un tempo per famiglie, boh, non si sa come definirlo, chissà come mai, forse solo perché è una "cosa" innovativa). Quando l'ho visto, davvero, mi si è aperto il cuore. E non solo perché è un bel posto.
Ma perché è proprio quella cosa lì, che serve, alle madri: uno spazio per professioniste che sono in una fase di ridefinizione della loro vita, uno spazio in cui naturalmente incontrarsi, confrontarsi, scambiare idee e professionalità e prospettive, senza il sopracciglio alzato del giovane nerd (che palle questa, una madre!) o l'affanno del professionista (una madre, e pretende pure di rubarmi il lavoro, ma pensa te). Uno spazio in cui la flessibilità oraria del servizio di cura è vera, e non presunta.
Un ghetto? Io credo che da lì le mamme non usciranno con una ricetta per il brodo di verdure in più, ma con idee in più su se stesse, sui propri obiettivi professionali, e anche (perdonate il parolone) nuove possibilità di business. Perché, lasciatemelo dire che sono un'esperta, si possono avere un sacco di (ottime) idee di business: il problema è trovare persone competenti con le quali realizzarle (o almeno provarci), queste idee.
Perché è proprio una cosa, che serve alle mamme libere professioniste: incontrarsi, e investire su di sé, mettersi insieme per credere nelle proprie idee. E non preoccuparsi se nessuno riesce a incasellarle, e neanche loro ci riescono.Che vuol dire che sono delle pioniere, ma sarà bene che lo capiscano subito, e non ci impieghino dieci anni come la sottoscritta.
4 commenti:
Bellissimo articolo Lorenza....evviva le pioniere e tutte coloro che malgrado i tempi difficili hanno voglia di scommettere e mettersi in gioco per cambiare le cose!
Grazie Patrizia... Evviva le pioniere, e cerchiamo di trovare modi perché non perdano la voglia di scommettere e di cambiare le cose!
Se il tuo blog avesse una taglia mi calzerebbe a pennello! Io mi sono fatta Roma-Milano solo per andare a conoscere le fondatrici di Piano C il giorno dell'inaugurazione. Sono molto orgogliosa del progetto e di donne come loro. Secondo me ce ne sono tante di donne/mamme "Colombo" in circolazione, se riuscissimo a riunirle e farle collaborare cambieremmo non solo le loro sorti, ma anche quelle del nostro povero paese. Bel blog complimenti!
Grazie Cecibel, soprattutto per il tuo entusiasmo e sì, me lo prendo come consiglio e buon proposito: bisogna avere uno stile più collaborativo!
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