Era sabato, c'era il sole, era una settimana che l'Ing. lasciava parcheggiata la macchina sotto casa perché "C'è il salone del Mobile, un traffico pazzesco". Era sabato, e la sottoscritta a colazione, momento del brainstorming familiare su "Cosa facciamo oggi" ha deciso che SI DOVEVA andare al Fuorisalone. Eccchediamine.
Sono passate tre settimane, la città è tappezzata di cartelloni elettorali. Leggo slogan, guardo facce (ogni tanto no, guardo loghi, disegni, stemmi). Le facce hanno sorrisi incerti e tirati, gli slogan suonano come lattine vuote: parlano di futuro, bambini, boh. Non me ne ricordo neanche uno.
Era sabato, tante persone in giro. Il nostro Fuorisalone è finito ben presto, praticamente subito, da Ingegnoli: un luogo magico, che ben presto sparirà. La zona è area di recupero e quindi, indovinate?, al posto di questo enorme negozio-serra, che in casa nostra è diventato "Il giardino di Edera Velenosa", verrà costruito un avveniristico palazzo che sarà sede di una prestigiosa Fondazione di una grande casa editrice. Chi l'avrebbe mai detto.
Guardo i cartelloni e continuo a chiedermi a chi servano, tutti questi uffici e tutte queste case, in una città sempre più vecchia e più tirata, dove le signore la mattina contano gli spiccioli alla cassa del supermercato, dove c'è un cartello di Affitasi Ufficio appeso un portone sì e uno no.
Era sabato, e bighellonavamo in bicicletta per una Milano piena di persone: era - è stata per una settimana - una città un po' diversa. Una città dove si poteva vivere di cose belle, aperte a tutti o a chiunque avesse voglia di uscire di casa a scoprire, senza troppe pretese ma con un enorme sforzo organizzativo delle aziende, degli sponsor, degli artisti. In cui le persone di buona parte del mondo erano in giro - gente venuta per il Salone del Mobile, ma non blindate dietro un taxi alla volta dell'aeroporto.
Mi sono accorta di quanto il Fuorisalone sia stato capace di restituire alla città che lo ospita spazio, titolarità, coinvolgimento: e mi sembra che la formula abbia funzionato. Un'immagine positiva di sé che non è solo immagine, ma è tecnologia, scoperta, contenuto, sfida. Non è una cosa improvvisata: sono anni che ci si lavora, e tanto.
Il paragone con le settimane della moda mi è venuto spontaneo: la Moda, anche quando Milano era (o credeva di essere) la "capitale della Moda", non è mai stato tutto questo - non è stata capace di questo sforzo di coinvolgimento della città.
In coda in macchina vicino a Via Tortona, quello stesso sabato sera di Fuorisalone, partita a SanSiro e sailcielo cos'altro, ho esposto il mio pensiero all'Ing., il quale ha ribattuto che la moda è una cosa élitaria, il design no. Ecco, secondo me non è vero: anche il design è élitario, perché tutti andiamo al Fuorisalone ma poi dobbiamo accontentarci dell'Ikea.
E' proprio una concezione diversa della città: una città da usare e basta, o una città da vivere. Un mondo autoreferenziale, o un mondo aperto. Qualcosa da tenere per sé, o qualcosa da condividere e costruire insieme (perché in entrambi i casi devo vendere, sia ben chiaro).
La moda non è stata capace di crearsi intorno una città, semplicemente perché questa cosa non interessava. Forse adesso sì, la lezione del Fuorisalone è passata - non abbiamo più solo taxi off-limits e traffico impazzito, abbiamo qui e là qualcuno che timidamente si affaccia sulle strade dai palazzi superblindati delle griffes milanesi. Creando forse perplessità, e qualche grattacapo in più.
In quella settimana sono incappata in un giornale di moda iper-chic e l'ho sfogliato per la prima volta. Mi hanno turbato le immagini, ho pensato: forse il problema della moda è che ormai sta riciclando l'immagine di un mondo che non esiste più - un'immagine che è diventata l'immagine triste e strafatta di se stessa che si dipinge, in effetti, come un mondo elitario quando le masse non hanno più né la voglia né i soldi per fare finta di essere come le élite, e le élite boh. (sempre se di masse e élite dobbiamo parlare, cosa che mi si potrebbe contestare a prescindere)
Non voglio fare l'apologia del Fuorisalone, per carità. Ma in quella settimana, Milano a me è piaciuta davvero. E vorrei che le facce di cera dei cartelloni vedessero e imparassero - quantomeno, da chi ha saputo tirar fuori i milanesi di casa senza che andassero a manifestare o al mare e in montagna per il weekend.
Sono passate tre settimane, la città è tappezzata di cartelloni elettorali. Leggo slogan, guardo facce (ogni tanto no, guardo loghi, disegni, stemmi). Le facce hanno sorrisi incerti e tirati, gli slogan suonano come lattine vuote: parlano di futuro, bambini, boh. Non me ne ricordo neanche uno.
Era sabato, tante persone in giro. Il nostro Fuorisalone è finito ben presto, praticamente subito, da Ingegnoli: un luogo magico, che ben presto sparirà. La zona è area di recupero e quindi, indovinate?, al posto di questo enorme negozio-serra, che in casa nostra è diventato "Il giardino di Edera Velenosa", verrà costruito un avveniristico palazzo che sarà sede di una prestigiosa Fondazione di una grande casa editrice. Chi l'avrebbe mai detto.
Guardo i cartelloni e continuo a chiedermi a chi servano, tutti questi uffici e tutte queste case, in una città sempre più vecchia e più tirata, dove le signore la mattina contano gli spiccioli alla cassa del supermercato, dove c'è un cartello di Affitasi Ufficio appeso un portone sì e uno no.
Era sabato, e bighellonavamo in bicicletta per una Milano piena di persone: era - è stata per una settimana - una città un po' diversa. Una città dove si poteva vivere di cose belle, aperte a tutti o a chiunque avesse voglia di uscire di casa a scoprire, senza troppe pretese ma con un enorme sforzo organizzativo delle aziende, degli sponsor, degli artisti. In cui le persone di buona parte del mondo erano in giro - gente venuta per il Salone del Mobile, ma non blindate dietro un taxi alla volta dell'aeroporto.
Mi sono accorta di quanto il Fuorisalone sia stato capace di restituire alla città che lo ospita spazio, titolarità, coinvolgimento: e mi sembra che la formula abbia funzionato. Un'immagine positiva di sé che non è solo immagine, ma è tecnologia, scoperta, contenuto, sfida. Non è una cosa improvvisata: sono anni che ci si lavora, e tanto.
Il paragone con le settimane della moda mi è venuto spontaneo: la Moda, anche quando Milano era (o credeva di essere) la "capitale della Moda", non è mai stato tutto questo - non è stata capace di questo sforzo di coinvolgimento della città.
In coda in macchina vicino a Via Tortona, quello stesso sabato sera di Fuorisalone, partita a SanSiro e sailcielo cos'altro, ho esposto il mio pensiero all'Ing., il quale ha ribattuto che la moda è una cosa élitaria, il design no. Ecco, secondo me non è vero: anche il design è élitario, perché tutti andiamo al Fuorisalone ma poi dobbiamo accontentarci dell'Ikea.
E' proprio una concezione diversa della città: una città da usare e basta, o una città da vivere. Un mondo autoreferenziale, o un mondo aperto. Qualcosa da tenere per sé, o qualcosa da condividere e costruire insieme (perché in entrambi i casi devo vendere, sia ben chiaro).
La moda non è stata capace di crearsi intorno una città, semplicemente perché questa cosa non interessava. Forse adesso sì, la lezione del Fuorisalone è passata - non abbiamo più solo taxi off-limits e traffico impazzito, abbiamo qui e là qualcuno che timidamente si affaccia sulle strade dai palazzi superblindati delle griffes milanesi. Creando forse perplessità, e qualche grattacapo in più.
In quella settimana sono incappata in un giornale di moda iper-chic e l'ho sfogliato per la prima volta. Mi hanno turbato le immagini, ho pensato: forse il problema della moda è che ormai sta riciclando l'immagine di un mondo che non esiste più - un'immagine che è diventata l'immagine triste e strafatta di se stessa che si dipinge, in effetti, come un mondo elitario quando le masse non hanno più né la voglia né i soldi per fare finta di essere come le élite, e le élite boh. (sempre se di masse e élite dobbiamo parlare, cosa che mi si potrebbe contestare a prescindere)
Non voglio fare l'apologia del Fuorisalone, per carità. Ma in quella settimana, Milano a me è piaciuta davvero. E vorrei che le facce di cera dei cartelloni vedessero e imparassero - quantomeno, da chi ha saputo tirar fuori i milanesi di casa senza che andassero a manifestare o al mare e in montagna per il weekend.
7 commenti:
Sai come la penso, visto che parte di queste cose ce le siamo dette in ascensore :-)
Cmq credo che il design e la moda possano non essere entrambi elitari.
Perchè l'Ikea non è elitaria ma è design (come tutta una tradizione di design scandinavo alle spalle).
Emporio Armani (per fare un es.) non è così elitario eppure è moda.
La moda è una parte sostanziale di Milano e per restare in una posizione dominante tra le altre cose deve aprirsi alla città. Magari con sfilate aperte non ai doli addetti ai lavori, con show-room in spazi dedicati allo scambio e alla sperimentazione. In fondo basterebbe "copiare" il Fuori Salone e sarebbe anche un modo per valorizzare gli artigiani e i giovani. Ma non so quanto funzioni la Camera della Moda...forse il nostro futuro sindaco potrebbe interessarsene (chi sarà?).
Domenica siamo andati a NavigaMI. Non è che uno associ le barche a Milano, fatto sta che era pieno di gente curiosa, desiderosa di conoscere e sperimentare. A Milano esistono ancora tante persone così, pure se no sembrerebbe!
Le tue sensazioni sono anche le mie. Abitanto praticamente in zona Tortona sono scesa con un'amica, mi sono presa una birra, e passeggiando per le strade a mezzanotte mi sono sentita felice. Semplicemente. E mi capita poco in questa città.
@Veronica: mentre scrivevi anche io mi interrogavo sul ruolo della Camera della Moda e sulla reale possibilità per la moda di aprirsi senza contestazioni (vedi il "caso" Patrizia Pepe)... Per il resto sì, sono cose che ci siamo dette in ascensore ;)
@Valewanda: vero? Ma è così difficile comunicare questa sensazione e farla diventare un progetto?
Non si staccano dall'idea della sfilata.
Come se i produttori di mobili di design pensassero solo allo show-room come unico canale. Invece durante la settimana del design troviamo anche spazi in cui i designer e i produttori di materiali di mettono in gioco per inventare sperimentazioni e situazioni ad hoc.
Il tutto animando la città e il concetto di Made in Italy.
Sono strapresa ma mi piacerebbe trovare il tempo di visitare qualche posticino nella incipiente settimana della Milano Food Week.
da abitante di ZonaTortona amo visceralmente la settimana del Salone del Mobile e del FuoriSalone e in quei giorni mi sembra davvero di vivere in un altro mondo. vorrei che Milano fosse più spesso così. Più viva, più vivace, più eterogena. Più mediterranea.
ciao,
molto interessante il post.
trovo che sia fondamentale proteggere il fuorisalone dall'invadenza delle grandi griffe di moda. sono inorridita quando al tg5 invece di presentare magari un giovane nuovo designer hanno dedicato tempo alle lampade di....in via montenapoleone o ai mobili di .....sempre stilisti, che tolgono la scena ai designer puri.
Grazie Francesca, è molto interessante anche il tuo commento e mi dà una prospettiva diversa sul ragionamento. Mi chiedo quanto la moda non stia "cannibalizzando" il design (o viceversa non so, non ho davvero idea) e quanto invece la comunicazione ormai vecchia e che va per stereotipi non insista sui soliti nomi di richiamo (sappiamo che la TV italiana è fatta per gli anziani, che sicuramente sanno chi è Valentino ma forse non sanno chi è Fabio Novembre... Mah)
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