Milano non ti dà mai il benvenuto. Milano è sempre un po' incazzosa, e di fretta. Milano sembra guardarti dall'alto in basso, come se ti chiedesse: "Ma sei proprio sicura?!?".
Oggi, alle 17.00 in punto, la famigliola rimette piede in casa. Quella di Milano.
Che, per la piccoletta, casa è dove si dorme: concetto diventato un po' aleatorio, in queste tre settimane di vagabondaggio.
Entro in cucina, a piedi scalzi. Il pavimento è appiccicoso.
Strano, penso, eppure mi sembrava che fosse pulito, quando siamo partiti.
Traffico, svuoto borse, ripasso in cucina. Mentre fisso il pavimento, cercando di mettere in fila le cose da fare e chiedendomi, in un angolo della mia mente, perché mai il pavimento sia appiccicoso, vedo per terra un tappo. Un tappo di una bottiglia di vino. Lo osservo, come si osserva una cosa strana: come ci è finito qui, questo tappo?
Non si capisce come i neuroni ricresciuti al sole del Sud facciano così fatica ad incontrarsi, ora che siamo giunti al dunque e devono servire a qualcosa.
Ma ecco, improvvisa, l'illuminazione: con il caldo è esplosa di nuovo una bottiglia di vino!!
DI NUOVO. Le bottiglie di vino stanno in un pensile sopra il frigo. Nei momenti meno propizi, tipo a luglio quando una è al quinto mese di gravidanza e ha la massima a 80, scoppia una bottiglia, o parte un tappo. In genere, quando non c'è nessuno in casa, in modo che nessuno possa intervenire prontamente.
Apro l'armadietto, implorando e imprecando nello stesso tempo: è partito il tappo di una bottiglia di pinot nero, che si è riversata per metà nel frigorifero e nel congelatore, lasciano la sua bella patina di appiccicaticcio. Almeno, niente pezzi di vetro da raccogliere.
Bel regalo di benvenuto, porcaccia la miseria.
A questo punto si risveglia la Cesira che è in me: armadietto, frigo, e congelatore, niente rimane immune dalla furia domestica. Quando apro il congelatore e vedo le stalattiti, decido che è il momento di spegnerlo e pulirlo. Ora o mai più.
Abbandono le stalattiti agli effetti del riscaldamento globale e calcolo che, nel frattempo, posso andare a fare la spesa della sopravvivenza. Con piglio milanese, prendo la skassona e vado all'Esselunga di Viale Piave, che tanto la domenica è sempre aperta.
Ora, narrano le leggende milanesi che, come l'Esselunga di Viale Papiniano è il luogo d'elezione per abbordare, così l'Esselunga di Viale Piave è il paradiso della spesa di modelle, modelline, bellezze radical-chic e fighetti milanesi, che tra l'altro vanno lì di fianco a fare l'aperitivo. Ma figuriamoci se dopo tre settimane di latitanza ci penso.
E così arrivo all'Esselunga con le mie ciabatte di cuoio, i piedi ancora sporchi di sabbia rossa del Giglio, l'occhio pallato e le mani di una che ha appena ripulito il mobiletto dei vini senza guanti, ed eccoli lì, tra la folla di extracomunitari e di turisti sperduti: loro, eteree fanciulle con la coda di cavallo perfetta e bionda, il trucco leggero, le pashmine, le tute in ciniglia beige, le ciabattine con gli strass, e loro, giovani e vecchi con il ciuffo fluente, le camice di lino (quanto tempo era che non vedevo un uomo in camicia?!?) e i pantolini lunghi. Tutti abbronzatissimi. Ecco il cretino sulla Smart che ti si piazza nel sedere anche se ha capito perfettamente che devi posteggiare. Ecco quello che sull'ascensore non sapeva se farti passare o meno, ma poi è andato lui.
"Ha la Fidaty?"
"Signora... Ha la Fidaty?"
"Signora?!?"
Sta parlando con me.
Faccio un sorriso al cassiere come una che ha perfettamente il controllo della situazione, lui mi guarda con uno sguardo tra il divertito e il compassionevole: "Eh... Stava pensando!".
Allungo Fidaty e carta di credito, e me ne vado.
Com'è faticoso, certe volte, vivere a Milano.
Torno a casa, abbandono la spesa accanto alle valige e faccio per andare a prendere da bere. Questa volta, metto il piede in una pozza d'acqua.
Welcome home, lorenza.
Oggi, alle 17.00 in punto, la famigliola rimette piede in casa. Quella di Milano.
Che, per la piccoletta, casa è dove si dorme: concetto diventato un po' aleatorio, in queste tre settimane di vagabondaggio.
Entro in cucina, a piedi scalzi. Il pavimento è appiccicoso.
Strano, penso, eppure mi sembrava che fosse pulito, quando siamo partiti.
Traffico, svuoto borse, ripasso in cucina. Mentre fisso il pavimento, cercando di mettere in fila le cose da fare e chiedendomi, in un angolo della mia mente, perché mai il pavimento sia appiccicoso, vedo per terra un tappo. Un tappo di una bottiglia di vino. Lo osservo, come si osserva una cosa strana: come ci è finito qui, questo tappo?
Non si capisce come i neuroni ricresciuti al sole del Sud facciano così fatica ad incontrarsi, ora che siamo giunti al dunque e devono servire a qualcosa.
Ma ecco, improvvisa, l'illuminazione: con il caldo è esplosa di nuovo una bottiglia di vino!!
DI NUOVO. Le bottiglie di vino stanno in un pensile sopra il frigo. Nei momenti meno propizi, tipo a luglio quando una è al quinto mese di gravidanza e ha la massima a 80, scoppia una bottiglia, o parte un tappo. In genere, quando non c'è nessuno in casa, in modo che nessuno possa intervenire prontamente.
Apro l'armadietto, implorando e imprecando nello stesso tempo: è partito il tappo di una bottiglia di pinot nero, che si è riversata per metà nel frigorifero e nel congelatore, lasciano la sua bella patina di appiccicaticcio. Almeno, niente pezzi di vetro da raccogliere.
Bel regalo di benvenuto, porcaccia la miseria.
A questo punto si risveglia la Cesira che è in me: armadietto, frigo, e congelatore, niente rimane immune dalla furia domestica. Quando apro il congelatore e vedo le stalattiti, decido che è il momento di spegnerlo e pulirlo. Ora o mai più.
Abbandono le stalattiti agli effetti del riscaldamento globale e calcolo che, nel frattempo, posso andare a fare la spesa della sopravvivenza. Con piglio milanese, prendo la skassona e vado all'Esselunga di Viale Piave, che tanto la domenica è sempre aperta.
Ora, narrano le leggende milanesi che, come l'Esselunga di Viale Papiniano è il luogo d'elezione per abbordare, così l'Esselunga di Viale Piave è il paradiso della spesa di modelle, modelline, bellezze radical-chic e fighetti milanesi, che tra l'altro vanno lì di fianco a fare l'aperitivo. Ma figuriamoci se dopo tre settimane di latitanza ci penso.
E così arrivo all'Esselunga con le mie ciabatte di cuoio, i piedi ancora sporchi di sabbia rossa del Giglio, l'occhio pallato e le mani di una che ha appena ripulito il mobiletto dei vini senza guanti, ed eccoli lì, tra la folla di extracomunitari e di turisti sperduti: loro, eteree fanciulle con la coda di cavallo perfetta e bionda, il trucco leggero, le pashmine, le tute in ciniglia beige, le ciabattine con gli strass, e loro, giovani e vecchi con il ciuffo fluente, le camice di lino (quanto tempo era che non vedevo un uomo in camicia?!?) e i pantolini lunghi. Tutti abbronzatissimi. Ecco il cretino sulla Smart che ti si piazza nel sedere anche se ha capito perfettamente che devi posteggiare. Ecco quello che sull'ascensore non sapeva se farti passare o meno, ma poi è andato lui.
"Ha la Fidaty?"
"Signora... Ha la Fidaty?"
"Signora?!?"
Sta parlando con me.
Faccio un sorriso al cassiere come una che ha perfettamente il controllo della situazione, lui mi guarda con uno sguardo tra il divertito e il compassionevole: "Eh... Stava pensando!".
Allungo Fidaty e carta di credito, e me ne vado.
Com'è faticoso, certe volte, vivere a Milano.
Torno a casa, abbandono la spesa accanto alle valige e faccio per andare a prendere da bere. Questa volta, metto il piede in una pozza d'acqua.
Welcome home, lorenza.