«Accettare l'ambivalenza è come accettare di essere umani e questo ci rende più autorevoli svincolandoci da comportamenti autoritari, ma soprattutto dà un senso alla nostra "naturale" incoerenza. Essere contenti e allo stesso modo un po' malinconici quando vediamo nostro figlio entrare finalmente all'asilo senza piangere, così come quando esce da solo per la prima volta o sempre da solo parte per la sua prima vacanza, diventeranno sentimenti a noi familiari, condivisibili e meritevoli di essere rivelati.
Ciò che dovremmo evitare è l'ambiguità, che veicola un messaggio confuso e mai rispecchiante il nostro reale punto di vista.
(...)
L'ambiguità alla lunga ci fa sentire in colpa e spesso, a parte internet, sono proprio i sensi di colpa a determinare quella distanza che sentiamo da loro. In certi casi i sensi di colpa nascono da quello che facciamo, a volte inconsapevolmente, per fare in modo che essi siano esattamente come ce li siamo immaginati (neanche fossero i nostri avatar!). (...) Ma se tale comportamento diventa eccessivo, fatalmente distoglie la nostra attenzione da particolari momenti della loro crescita, dove hanno necessità di sentire rispecchiata la propria spontaneità. Non ci accorgiamo più di quell'istante preciso in cui hanno bisogno di essere visti e considerati, e non semplicemente guardati senza partecipazione. Quell'istante rappresenta, secondo me, il massimo della vicinanza possibile, una specie di fusione emotiva che ce li fa conoscere e sentire vicini come nessuna forma di controllo potrebbe fare».
Federico Tonioni, Quando Internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, Fetrinelli, 2011.
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L'ambiguità alla lunga ci fa sentire in colpa e spesso, a parte internet, sono proprio i sensi di colpa a determinare quella distanza che sentiamo da loro. In certi casi i sensi di colpa nascono da quello che facciamo, a volte inconsapevolmente, per fare in modo che essi siano esattamente come ce li siamo immaginati (neanche fossero i nostri avatar!). (...) Ma se tale comportamento diventa eccessivo, fatalmente distoglie la nostra attenzione da particolari momenti della loro crescita, dove hanno necessità di sentire rispecchiata la propria spontaneità. Non ci accorgiamo più di quell'istante preciso in cui hanno bisogno di essere visti e considerati, e non semplicemente guardati senza partecipazione. Quell'istante rappresenta, secondo me, il massimo della vicinanza possibile, una specie di fusione emotiva che ce li fa conoscere e sentire vicini come nessuna forma di controllo potrebbe fare».
Federico Tonioni, Quando Internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, Fetrinelli, 2011.