martedì 20 marzo 2012

Il cinquantenne e l'Articolo 18


Alla macchinetta del caffè.
E voi lo sapete che alla macchinetta del caffé si raccolgono le confessioni più scabrose.

"Perché, vedi..."
E abbassa la voce, mi si fa vicino.
Tendo le orecchie.
"Il problema, con l'art. 18, secondo me, è questo."
Tentenna.
"Dimmi", lo rassicuro.

Figuriamoci se mi lascio scappare la confessione alla macchinetta del caffè.

"... Che se per le aziende diventa più vantaggioso far lavorare giovani e donne, quando tu hai lavorato vent'anni e sei diventato uno che costa, ti licenziano. Sai, io ormai... Mi danno una buonuscita, tiro a campare qualche anno, e poi vado in pensione. Ma se uno [maschio, italico, ndr] a quarant'anni, dopo vent'anni che lavora - e tu lo sai che gli scatti sono in base all'anzianità - si ritrova senza lavoro? Cosa fa?"

"Mah, secondo me se uno ha lavorato bene un'azienda non lo licenza... Sarebbe un costo troppo elevato perdere un lavoratore specializzato per doverne formare un altro" (ammesso e non concesso che sia specializzato, ma sorvoliamo su questo tasto dolente)

"Eh ma se una donna o un giovane costano meno... Questo qui cosa fa?"

Non dico nulla, niente pipponi (e ne avrei a iosa, tutto quello che può frullare nella testa di una precaria alla quale è capitato anche di sentirsi dire "Ah ma lei ha cambiato un sacco di lavori").

Penso solo: eccolo lì, stanato nel suo santuario, il maschio cinquantenne. Quello che ha lavorato tutta la vita, senza lazzi, senza frizzi, ha assolto il suo compito senza troppo trasporto, barando il minimo sindacale, allungando solo un po' le pause alla macchina del caffè e senza neanche un giorno di finta malattia. Una vita fatta di poche ma concrete, solide certezze: la scrivania, il pc, gli scatti di carriera che negli ultimi anni sono diventati sempre più un miraggio, messe paurosamente in bilico.

Da chi, per "colpa" di chi? Per colpa di un'orda di trentenni senza lavoro e di donne assatanate, ai quali l'abolizione dell'art. 18 aprirà possibilità insperate.

Sorrido, e scuoto la testa.
Solo nel nostro Paese poteva verificarsi l'assurda equazione, nella mente di tanti lavoratori, grazie a tanta stampa e a qualche ministro compiacente, tra l'abolizione dell'articolo 18 e la questione lavorativa dei giovani e delle donne.

Ma siamo davvero convinti che la sola abolizione dell'art. 18 farà sì che il cinquantenne venga buttato fuori a calci nel sedere, e vengano stesi tappeti rossi al ventitreenne? E siamo sicuri che per la sola imposizione dell'abolizione dell'art. 18 con annesso congedo obbligatorio di paternità, la mente dell'imprenditore brianzolo improvvisamente si apra all'illuminazione, e inizi a considerare il genio femminile come apporto imprescindibile alla sua missione di imprenditore nel mondo (o diciamo almeno fino a Bergamo)?

Personalmente, non ne sono così sicura. Ma la cosa importante, intanto, è farlo credere al cinquantenne, fargli capire che tutte le sue certezze in fondo non sono così certe, in questa isteria collettiva intorno a una riforma che aspetta di essere fatta da quasi vent'anni, intorno a una questione di lavoro delle madri che rimane aperta (con o senza articolo 18): perché in fondo, anche al cinquantenne dobbiamo far capire chi sono i veri nemici.

Che, altrimenti, "non so come resisterò/senza un nemico intorno"  (e a chi indovina la citazione, difficilie, menzione d'onore)

venerdì 16 marzo 2012

Tra sacrificio e martirio. La sottile linea rossa de' noantre





Ieri leggevo questo interessantissimo post di Mammamsterdam su Genitoricrescono: Ma che cos'è questa emancipazione (e se cliccate sul link giusto vincete un premio)

Una delle cose che mi ha colpito di più (al di là delle considerazioni socio-culturali di massima sul mercato del lavoro e dei servizi, che vi risparmio qui) è il tema del prendersi tempo per sé.

La questione della libertà personale (che può diventare individualismo becero, ma anche no - io, per esempio, prima di prendermi una vacanza da sola agognerei ad avere un weekend da sola con l'Ing., robe che si fanno solo per gli anniversari epici e poi i figli ti rinfacciano per tutta l'estate seguente), come è declinata in Olanda e come è declinata quaggiù.

Questo fa il paio con una serie di riflessioni sul tema del sacrificio (tema che sto affrontando sul versante delle scelte lavorative delle madri). Perché ogni tanto ho l'impressione che, quando si tratta di madri e figli, non si possa più parlare di sacrificio, vietato dire che i genitori fanno sacrifici per i figli, politicamente scorretto pensarlo, irresponsabile caricare i figli di cotanto fardello. Eppure, di fatto, è così: alzi la mano chi non ha rinunciato a qualcosa per i propri figli. Quello che non si può dire, è innanzitutto che si fanno dei sacrifici, e in secondo luogo che è che è bene che sia così, che il sacrificio come dono è una gran scuola per uscire da questo circolo vizioso di peterpanismo ad oltranza. Che il sacrificio è una cosa bella (per dirlo alla Padoa-Schioppa).

Perché mi viene da pensare che nella nostra cultura questa distinzione non sia per niente chiara, e che non potendo parlare di sacrificio (che fa troppo cultura cattolica, e quindi basta non se ne può più), il sacrificio finisca troppo spesso per diventare martirio: la madre dedita alla causa dei figli e del marito. Ma il martirio in questo caso è l'esatto contrario del sacrificio, che il martirio poi richiede risarcimento.

Che, invece, c'è una sottile differenza tra fare un sacrificio e farsi martirizzare dai figli (e dal marito, spesso e anzi sovente). Che c'è quella sottile linea rossa della libertà per sé, del rispetto per sé (e di un sano egoismo tipico delle persone che in qualche modo devono sopravvivere) che a queste latitudini ben poche donne (e nessun uomo) ci insegnano.

O ci vogliono insegnare con la ricetta standard, che poi è la stessa cosa che non insegnare un bel niente. Che ci sono donne che si martirizzano stando a casa a curare i figli, e donne che invece si sacrificano, lo sanno, e sono proprio contente di fare quella cosa lì; e donne che si martirizzano andando a lavorare a tutti i costi, e donne che invece vogliono proprio fare quella cosa lì. E donne che vorrebbero fare tutto, e quindi si martirizzano in tutti i campi ma non fanno sacrifici in niente.

Ma tra sacrificio e martirio, rimane la questione del tempo per sé: e allora io mi chiedo se le donne italiane hanno appreso il concetto del tempo per sé. O se gli fa troppa fatica.

mercoledì 14 marzo 2012

Sabato Sera


Il Sabato Sera della Grande Nonna
@Ristorante "I Quattro Palmenti"

"E quindi questi fondi non mi rendono un bel niente"
"Se penso che ho comprato i BOT al 3,5%..."
"Ah ah. Non sai che fondi ho comperato io"
"Ah sì?!?"
"All'8,45% lordo. Che netti comunque fanno un bel 6%"
"Così noi possiamo andare a fare il nostro viaggio in America. Ah però questa volta niente scalo a New York, voliamo direttamente a Los Angeles. Ah che disastro l'ultima volta a New York! Roberto si è perso nei negozi e stava per perdere l'aereo!!!"


Il Sabato Sera di Lorenza e dell'Ing.
@Home "Via del Sovraffollamento"

"E quindi avevo preso il volo Ryanair e me l'hanno cancellato, adesso devo capire come fare con l'albergo, era un early booking. I bimbi? Ma figurati, non ho fatto in tempo a dire a mia madre che non andavamo più che aveva già prenotato il suo viaggio in Portogallo"
"Beh, se vuoi andare in Grecia devi prenotare adesso che sennò poi costa troppo. Forse in Croazia è un po' più economico"
"Ma non fa freddo in Croazia?"
"E quindi ogni tanto chiedo all'Ing. se mi mantiene, ma l'Ing. non favella"
"Sai, i liberi professionisti oggi..."
"Non me lo dire, ho passato tutto il mese di gennaio a non dormire di notte pensando a come faccio a pagare le tasse a maggio." (o sarà giugno?)

giovedì 8 marzo 2012

Me and Mrs. Banks (8 marzo Reloaded)



Veri soldati in gonnella siam.
Del voto alle donne gli alfieri siam.
Ci piace l'uomo preso a tu per tu,
ma al governo lo troviamo alquanto scemo.

Lacci e catene noi spezzerem
e tutte unite combatterem.
Noi siam le forze del lavoro
e cantiamo tutte in coro:
Marciam! Suffragette, a noi!

Non puoi arrestarci o maschio
son finiti i tempi tuoi.
E' un solo grido unanime: Femmine, a noi!
Ben presto anche in politica seguire ci dovrai,
se il voto ancor ci neghi,
per te saranno guai!
Siam pronte al peggio,
anche a morire ormai.
Chi per il voto muor, vissuto è assai.
Femmine, a noi!

Ah! Lacci e catene noi spezzerem
se tutte unite combatterem.
Noi siam le forze del lavoro
e cantiamo tutte in coro:
Marciam! Marciam! Marciam!
Suffragette, a noi!

Non posso fare a meno di pensare, quando vedo questa scena, che Mrs. Banks aveva una tata fissa e due domestiche che si occupavano di casa e figli mentre lei era altrove, a fare la suffragetta. E che alle sue tate, certe idee non passavano neanche per l'anticamera del cervello.

Mi chiedo sempre se sia un privilegio poter combattere per i diritti, propri ed eventualmente altrui (e qui apro parentesi sul neo-femminismo di ritorno di alcune donne che lavorano e che combattono affinché altre donne possano stare a casa a curare i propri figli, che ci vedo qualcosa di perverso in tutto ciò), e quando vedo questa scena non so mai darmi una risposta.