giovedì 21 luglio 2011

#donnexdonne, da un minimo a un massimo


#donnexdonne, e intendo dire il gruppo su Facebook, è diventato lo spam peggiore nella mia posta, lo dico con affetto e non mi illudo certo che con oggi finisca. Segno di alto interesse e partecipazione, segno che in Rete ci sono tante donne che hanno voglia di stare insieme e confrontarsi. Purtroppo non sono riuscita a seguire tutte le conversazioni, il passaggio di consegne, i banner, i link, i video, gli articoli, le considerazioni su "Se non ora quando?" a Siena. Per cui non chiedetemi se sono d'accordo o cosa ne penso.

#donnexdonne è un progetto ambizioso, e infatti se dovessi proprio mettermi lì, spremere le meningi, pensare e ripensare, rovistare nel fondo della memoria e cercare qualcosa - cosa che peraltro in questo periodo di totale sfinimento non riesco proprio a fare - troverei ben poco che mi appartiene. Anzi, mi verrebbero in mente tutte le facce delle stronze che ho incontrato per strada. O, peggio ancora, di quando la stronza sono stata io.

E dunque, siccome certe cose rimosse stanno bene dove stanno, sono stata lì lì per non scrivere nulla. Fino a quando non mi è venuta in mente la migliore qualità al mondo che le donne posseggono: esistono. Esistono per parlarci. Perché quando a un uomo fai certi discorsi, se ti va bene ti dice che sei matta. Se ti va male ti chiede se sei in sindrome premestruale. Invece con le altre donne ci parli, e questo permette innanzitutto al pensiero di progredire. E non sto dicendo che devono essere per forza tue amiche, o che parlarsi sia sempre un bene: e infatti a volte ti parli, e poi per sei mesi non ti parli più. A volte ci si dice cose che fanno male, a volte no.

C'è uno stile, nel mettersi insieme (anche per tentare di realizzare idee di business), che è altamente deficitario (nei risultati, ci manca spesso quel killer instinct che fa di noi delle vere cacciatrici) ma altamente partecipativo. E questo è il minimo, che poi è stato anche la base di quello che è stato presentato come un massimo, ossia la manifestazione di Siena, "Se non ora quando?"

Ora, io ero a Siena quel sabato e sono passata dalla fantomatica piazza di Sant'Agostino. Sì, ci stavano duemila persone, in effetti. No, sono arrivata quando tutti erano già in fase di smobilitazione (con gli uomini che aspettavano vicino al muretto come una volta aspettavano sui gradini delle chiese, senza entrare). Sì, c'era una bellissima atmosfera di partecipazione (appunto). No, mi sono seduta e mi sono guardata intorno, a vedere le madri cinquantenni che trascinavano le figlie: le madri con quell'aria spavalda e la faccia di quelle che "finalmente si torna ai bei vecchi tempi" e le figlie... Le figlie vestite come le madri. O viceversa. Chissà. Amiche, o donne che sembravano amiche, viaggiare insieme.

Comunque. Quella che mi sono fatta è stata una domanda più radicale, è la domanda del massimo vero, è la domanda che mi è venuta spontanea guardando le facce delle figlie. E cioè: questo stare insieme sarà capace di produrre anche un nuovo pensiero, che sappia partire dai fallimenti di quello precedente? Un nuovo pensiero che sappia superare le secche dell'in-differenza tra maschile e femminile, tanto per citare un argomento che mi sta a cuore (quando sento parlare di ruoli di genere mi viene l'orticaria alle orecchie, e sapete che sono una persona tollerante).

Perché altrimenti tutte le manifestazioni di donne per le donne rischiano di diventare il "solito" ghetto (e io di ghetti, se permettete, me ne intendo). Perché partecipare è bello e poter tutte quante dire la propria è segno di alta democrazia, ma poi? Sappiamo ridare cittadinanza a noi donne e ai nostri uomini (femmine e maschi, non generi costruiti artificialmente in base a chissà quali e quanti stereotipi, che pure nella nostra società ormai abbondano, come una profezia che si autoavvera)? Che, come dire, anche gli uomini hanno i loro problemini  - ma se aspettiamo che facciano #uominixuomini...

Disclaimer:
Dato che sono una scolara disattenta e indisciplinata, so che dovrei (devo, Monica?) mettere tutti i link delle partecipanti, ma per brevità vi rimando a Pontitibetani, impareggiabile organizzatrice di questo web-evento, Facebook o Twitter

martedì 19 luglio 2011

Domande imbarazzanti

No, per dirvi che comunque la Summer School della Fondazione ForTes sulla comunicazione nel Terzo Settore è stata davvero interessante. Mi sono divertita a fare, come al solito, quella che non c'entra niente.

Ho dovuto rispondere infinite volte alla domanda più imbarazzante che mi si possa fare: "Che lavoro fai?".

Perché non ho risposte pre-confezionate tipo: "Ufficio Stampa del CSV di vattelapesca", "Coordinamento della Comunicazione Interna dei Circoli ARCI Toscana", "Misericordia di San Casciano" (ah LA Misericordia... Non ho capito cosa sia ma ho scoperto che in Toscana è una potenza), Fondazione TuttiBelli.

"Seguo alcuni progetti, mi occupo saltuariamente di conciliazione famiglia-lavoro, sto sul Web per passione e per lavoro". Luuuuuuuunga, a metà avevo già perso il mio interlocutore.

"Lavoro come freelance su alcuni progetti e mi occupo di comunicazione web". Complicato, risultato: sguardo da pesce lesso.

"Faccio la ricercatrice, o almeno dovrei, e la blogger". Ah, ok. Ma che c'entrano?

"Sto seguendo un progetto per il Forum delle Famiglie". Semina il panico e il sospetto. Un modo per tenere lontani gli scocciatori.

"Seguo progetti, faccio la blogger". Uhm.

"Faccio la precaria". Depressivo al massimo.

Tra presentazioni formali e informali, ne ho sfoderato una decina. Ogni volta diversa. Pensavo agli amici con i quali ho diviso il tavolo un paio di volte, che ogni volta ne sentivano una diversa. La dissociata della Summer School.

E mai nessuno che mi chiedesse solo come mi chiamo.

lunedì 4 luglio 2011

Tra mammità e buon senso


E così, con le unghie e con i denti, abbiamo strappato alla settimana e al lavoro e ai figli altri due giorni solo per noi, e per i nostri dieci anni insieme che fanno un tempo per riappropriarsi dell'essere in due, partendo pensando che in fondo, forse, i bambini potevamo portarli con noi e che in fondo, la prossima volta, li porteremo. Sbagliato: sono stati due giorni stupendi su un'isola senza macchine con l'aria profumata di pino e di mirto, il mare azzurro che scopri in tante calette nascoste, le strade sterrate, la luce calda del tramonto in una piazza piena di terra e di nulla. E alla fine ci siamo detti che sì, i bimbi li porteremo in questo posto meraviglioso, ma avevamo davvero bisogno di stare noi due.

Ma così, prima di partire ho fatto domanda (fuori termine) per una Summer School in Toscana. Una cosa che mi interessa e mi intriga, quelle mail che mandi sopprapensiero pensando: "Ma figurati...". Mi hanno preso. E così la Grande Nonna, che in prima battuta aveva accolto la richiesta di babysitteraggio ambulante, a mente lucida si è tirata indietro chiedendosi come avrebbe mai potuto gestire i bimbi in una landa a lei sconosciuta. E io mi struggo all'idea di iniziare un'altra settimana nomade durante la quale lascerò di nuovo i bimbi da una nonna. E questa volta ok, almeno c'è papà. Ma così tante notti lontano da casa, weekend compreso, non sono mai stata.

Inutile dire che l'Ing. già assapora un altro weekend rubato all'Ultima Spiaggia, invece di dover correre dietro a quella squinternata di sua moglie fino in Toscana per recuperare i figli, e quindi a colazione mi guarda e mi dice: "Io non capisco, ma che senso ha? Hai questa opportunità, sfruttala"

Mi vengono un sacco di dubbi: ne varrà davvero la pena? Devo rinunciare? Vado? E' giusto? E se poi non mi serve a niente? E se poi...

Insomma, lo strazio della mammitudine non ha fine: quando non lavoravo pativo di tutto quel tempo (mal) speso con i miei bimbi piccolissimi e pensavo a cosa ne sarebbe stato di me, adesso mi inquieto per queste assenze prolungate e mi chiedo cosa ne sarà dei miei figli e di me, in questa precarietà che assume varie forme di upgrading mai scontate. Forse, verso la loro adolescenza, arriveremo a un equilibrio. Forse. Intanto, rubo il copy a qualcuno, ma in un vario gioco di specchi mi sento anche una mamma un po' cattiva.