venerdì 27 maggio 2011

Prove di pericolante mammità: test su strada (milanese) di seggiolino per bici


Essere mamma di due bimbi e non avere tate né nonni a disposizione ogni pomeriggio della settimana vuol dire condividere la maggior parte del tuo tempo con entrambi i tuoi figli. La sfida bella e difficile è riuscire a ritagliarsi un momento di unicità: tu e solo uno dei due, un momento per stare vicini senza creare incontrollabili gelosie nell’altro, senza discorsi interrotti, senza cose da fare - non importa se poi stiamo zitti e non si fa niente.

E questo succede per lo più quando carico uno dei due sul seggiolino della bici, e partiamo.

Ok, stop. Dimenticate gonne svolazzanti, rossetto senza sbavature e stradine di campagna. Arranco con una media di 20 kg sul sellino posteriore, ben imbragati e dotati di caschetto, su strade sconvolte da ogni tipo di scavo e rappezzamento (fibra ottica, teleriscaldamento fase 1, teleriscaldamento fase 2, posteggi interrati, gas, luce e non so che altro), schivando macchine in doppia fila e tassisti isterici.

Mentre pedalo, il mantra è: "Bimbi non muovetevi, sennò ci ribaltiamo e ci facciamo male".

Piccoletta, che ha il dono della sfida alle convenzioni, ha imparato ad agitarsi sul seggiolino e ad alzarsi d’improvviso: e quindi quando siamo in bici la devo impegnare in un discorso-confessionale ("Sai che Amica e Piacione si sono baciati di nascosto?") oppure in una cantata corale di “Cocco e Drilli”, una delle più belle canzoni d’amore di tutti i tempi.

Piccolo Ing. è più tranquillo ma, dall’alto dei suoi 8 anni e mezzo, ormai del tutto imprevedibile: inizia discorsi moccicati e poi si distrae ("Mamma, sai che oggi... .... ..." "Oggi?" "... ... ..." "Topo?" "Sì?" "Cosa mi stavi dicendo?" "Cosa ti stavo dicendo?" "Mi hai detto: 'Mamma, sai che oggi...' "Ah, sì. Boh, non mi ricordo più" "Va bene" "Mamma?" "Sì?" "..." "Topo?" "Sì?" e via di questo passo), canticchia, saluta gli amici che incrocia per strada sporgendosi pericolosamente, mentre il mantra "Non muoverti" diventa qualcosa a metà tra l’urlo di Tarzan e la supplica a Padre Pio.

E quindi, altro che seggiolino super leggero.

Qui ci vuole un seggiolino che sia sì leggero, ma che me li tenga lì, fermi inchiodati quanto basta per arrivare incolumi a destinazione: un seggiolino con le barre laterali. Un seggiolino che sembra una Ferrari sulla mia bici che assomiglia più a una 500 (ma non quella supercostosa che hanno fatto ora, quella della mia mamma quando io ero piccola, eh). Che sia comodo per loro, bello e leggero per me.

Un seggiolino che sembra una Ferrari, io l’ho trovato - e l'ho anche provato, insieme a Piccoletta (guardate il video, e fatevi due ghignate):
Seggiolino BodyGuard, Caschetto Sunny e occhiali da sole, tutto OKbaby.


In attesa che ci invitino per un Rally di mamme pericolanti, vi segnalo che Blogmamma ha lanciato un concorso letterario online, in premio proprio questo seggiolino.

venerdì 20 maggio 2011

Dietro l'angolo: quando ti rubano il posto dove vivi (ditemi dove sbaglio)


La portiera è persa dietro il rebus della raccolta differenziata.
Il lattaio aspetta che arrivi agosto per andare a ballare a Rimini.
La parrucchiera pensa alla sua casa sopra Camogli.

Cammino per strada con il Piccolo Ing. che mi chiede perché Milano verrà invasa dalla droga e non dai marziani, quando incrociamo due ragazzi. Lei è in canottiera e ha un tatuaggio gigante, mi passa un foglio. La considerazione è che difficilmente possa essere un volantino elettorale - anche se ho appena visto all'asilo una mamma araba con al collo un portachiavi di "Forza Milano!", quindi smetto di farmi inutili idee preconcette e di trovare un senso alle cose e sbircio, mentre spiego a Piccolo Ing. che settimana prossima si va ancora a votare, e quindi lui ha un altro lunedì di vacanza assicurato e che a Milano la droga c'è già, quindi nessuna invasione.

Ci sono dei ragazzi sul tetto delle villette-Aler.
Le villette-Aler sono un agglomerato di ville degli anni Venti ormai in semi abbandono (c'è o c'era, non so più, un sert e poco altro, oltre a qualche ufficio e qualche pensionato, pure lui in stato di semi-abbandono). Non solo. Le villette-Aler sono luogo di immaginaria speculazione edilizia di tutto il quartiere.

Tutti gli abitanti del quartiere hanno speso almeno cinque minuti della loro vita pensando (in ordine):
A. Pensa che spreco economico possedere un simile patrimonio immobiliare e lasciarlo lì vuoto e decadente (perché il vero milanese per prima cosa monetizza)
B. Come potrei fare ad accaparrarmene una a prezzi Aler (perché il vero milanese monetizza e vuole fare il furbo come tutti gli altri);
C. Lasciamo perdere, prima che le abbattano per farci un grattacielo o le diano ai Rom (perché il vero milanese deve mantenere comunque il low-profile).
Credo che la stragrande maggioranza degli abitanti del quartiere non sapesse, fino a ieri, che le villette-Aler sono oggetto di riqualificazione-Expo. Cosa questo voglia dire, nonostante abbia cercato qui e là (anche sul sito dell'Aler), non sono riuscita a capirlo. I ragazzi del tetto sostengono che le villette verranno risistemate e rivendute o affittate ai soliti amici di "all'interno di un piano connesso ad Expo 2015 gestito da una holding della Regione".

Al ritorno abbiamo fatto il giro lungo, siamo passati dalla cartolaia (esasperata da due giorni di tubo di scarico della camionetta della polizia davanti all'ingresso del suo bugigattolo) e siamo passati a vedere i ragazzi sul tetto (ma non ditelo a nessuno).

La cosa assurda e triste è che i ragazzi del tetto son lassù e non hanno nessuna richiesta da fare. Io invece una richiesta ce l'avrei. Ed è una richiesta di informazione: possibile che debba aspettare che gli anarchici salgano sul tetto per sapere che le villette-Aler sono/saranno oggetto di riqualificazione?

Non mi piace. Non mi piace stare in un posto dove devo venire a sapere che le cose mi cambiano sotto il naso perché gli anarchici son saliti sul tetto. Non mi piace un posto dove la notizia è che ci sono gli anarchici sul tetto, ma cosa ne sarà di quel tetto non è notizia importante (basta che lo sappiano i pochi informati, per il resto chissenefrega).

Non è un posto mio, ma è il posto dove abito.
E io vorrei abitare in un posto mio.

martedì 17 maggio 2011

L'incantatrice calva


Interno sera, a tavola.
Ing: "... E quindi sembra un po' un nerd"
Piccolo Ing: "Cos'è un nerd?"
Ing: "E' uno che è un genio, ma che sembra un po'... Insomma uno che non sa tanto come comportarsi, uno che..."
Lorenza: "Uno sfigato.... Uhm... Sai che cos'è uno sfigato?"
Piccolo Ing: "Veramente no"
Lorenza: "E' il contrario di quando dici 'Fico!' Hai presente quando tua sorella dice fico?"
Piccolo Ing.: "....."
Lorenza: "Fico vuol dire che è ganzo"
Piccolo Ing.: "....."
Lorenza: "Una cosa o una persona che piace a tutti, ma proprio a tutti!"
Ing: "E' cool"
Piccoletta: "E' cul come il sedere?"
Lorenza: "No, quello è cùl, cuul vuol dire fico, è la stessa cosa"
Piccoletta: "E finocchio?"
Lorenza: "Finocchio è una verdura"
Piccolo Ing: "E allora fico è un frutto"

mercoledì 11 maggio 2011

La Milano che vorrei: considerazioni di una bambina di 5 anni


Ieri a Milano era una di quelle giornate di afa padana che non vorresti mai.

Noi a Milano, quando Piccoletta e io andiamo in bici e i tubi di scappamento delle macchine ci sparano addosso i loro fumi, ci diciamo: "Vedi? Non produciamo nessuna puzza."

Noi quando siamo su, sui bricchi dell'Ultima Spiaggia, Piccoletta mi chiede: "Mamma, ma qui è meno inquinato che a Milano, vero?"

Ieri ero a prendere Piccoletta e la stavo caricando sulla bici.

"Mamma, ma i motorini fanno puzza, vero? Ecco, io vorrei delle macchine e dei motorini che non facessero puzza."

"Che bello, nana. Magari, quando quando voi sarete grandi, li avremo."

"E poi vorrei una città dove non c'è l'inquinamento. E poi colorerei di tutti i colori i palazzi."

Ecco, e poi non mi ricordo cosa le ho risposto, perché in realtà mi sono un po' commossa, pensando ai palazzi colorati dai desideri di una bimba.


martedì 3 maggio 2011

La Milano che vorrei: considerazioni postume sul Fuorisalone 2011


Era sabato, c'era il sole, era una settimana che l'Ing. lasciava parcheggiata la macchina sotto casa perché "C'è il salone del Mobile, un traffico pazzesco". Era sabato, e la sottoscritta a colazione, momento del brainstorming familiare su "Cosa facciamo oggi" ha deciso che SI DOVEVA andare al Fuorisalone. Eccchediamine.

Sono passate tre settimane, la città è tappezzata di cartelloni elettorali. Leggo slogan, guardo facce (ogni tanto no, guardo loghi, disegni, stemmi). Le facce hanno sorrisi incerti e tirati, gli slogan suonano come lattine vuote: parlano di futuro, bambini, boh. Non me ne ricordo neanche uno.

Era sabato, tante persone in giro. Il nostro Fuorisalone è finito ben presto, praticamente subito, da Ingegnoli: un luogo magico, che ben presto sparirà. La zona è area di recupero e quindi, indovinate?, al posto di questo enorme negozio-serra, che in casa nostra è diventato "Il giardino di Edera Velenosa", verrà costruito un avveniristico palazzo che sarà sede di una prestigiosa Fondazione di una grande casa editrice. Chi l'avrebbe mai detto.

Guardo i cartelloni e continuo a chiedermi a chi servano, tutti questi uffici e tutte queste case, in una città sempre più vecchia e più tirata, dove le signore la mattina contano gli spiccioli alla cassa del supermercato, dove c'è un cartello di Affitasi Ufficio appeso un portone sì e uno no.

Era sabato, e bighellonavamo in bicicletta per una Milano piena di persone: era - è stata per una settimana - una città un po' diversa. Una città dove si poteva vivere di cose belle, aperte a tutti o a chiunque avesse voglia di uscire di casa a scoprire, senza troppe pretese ma con un enorme sforzo organizzativo delle aziende, degli sponsor, degli artisti. In cui le persone di buona parte del mondo erano in giro - gente venuta per il Salone del Mobile, ma non blindate dietro un taxi alla volta dell'aeroporto.

Mi sono accorta di quanto il Fuorisalone sia stato capace di restituire alla città che lo ospita spazio, titolarità, coinvolgimento: e mi sembra che la formula abbia funzionato. Un'immagine positiva di sé che non è solo immagine, ma è tecnologia, scoperta, contenuto, sfida. Non è una cosa improvvisata: sono anni che ci si lavora, e tanto.

Il paragone con le settimane della moda mi è venuto spontaneo: la Moda, anche quando Milano era (o credeva di essere) la "capitale della Moda", non è mai stato tutto questo - non è stata capace di questo sforzo di coinvolgimento della città.

In coda in macchina vicino a Via Tortona, quello stesso sabato sera di Fuorisalone, partita a SanSiro e sailcielo cos'altro, ho esposto il mio pensiero all'Ing., il quale ha ribattuto che la moda è una cosa élitaria, il design no. Ecco, secondo me non è vero: anche il design è élitario, perché tutti andiamo al Fuorisalone ma poi dobbiamo accontentarci dell'Ikea.

E' proprio una concezione diversa della città: una città da usare e basta, o una città da vivere. Un mondo autoreferenziale, o un mondo aperto. Qualcosa da tenere per sé, o qualcosa da condividere e costruire insieme (perché in entrambi i casi devo vendere, sia ben chiaro).

La moda non è stata capace di crearsi intorno una città, semplicemente perché questa cosa non interessava. Forse adesso sì, la lezione del Fuorisalone è passata - non abbiamo più solo taxi off-limits e traffico impazzito, abbiamo qui e là qualcuno che timidamente si affaccia sulle strade dai palazzi superblindati delle griffes milanesi. Creando forse perplessità, e qualche grattacapo in più.

In quella settimana sono incappata in un giornale di moda iper-chic e l'ho sfogliato per la prima volta. Mi hanno turbato le immagini, ho pensato: forse il problema della moda è che ormai sta riciclando l'immagine di un mondo che non esiste più - un'immagine che è diventata l'immagine triste e strafatta di se stessa che si dipinge, in effetti, come un mondo elitario quando le masse non hanno più né la voglia né i soldi per fare finta di essere come le élite, e le élite boh. (sempre se di masse e élite dobbiamo parlare, cosa che mi si potrebbe contestare a prescindere)

Non voglio fare l'apologia del Fuorisalone, per carità. Ma in quella settimana, Milano a me è piaciuta davvero. E vorrei che le facce di cera dei cartelloni vedessero e imparassero - quantomeno, da chi ha saputo tirar fuori i milanesi di casa senza che andassero a manifestare o al mare e in montagna per il weekend.